“C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza…”
“C’è solo la strada” di Giorgio Gaber
Procedendo lungo il sentiero della vecchiaia sotto braccio a
una mediocre saggezza, mi sono sempre più reso conto come sia necessario un
certo modo d’esprimersi, per rendere efficace una comunicazione. Questo non
comporta sempre una trasposizione in elementi miseri e incompleti ciò che si
deve dire, quanto piuttosto una trasposizione in immagini minori, che siano
però comparabili con le immagini maggiori che vorremmo trasmettere. Ossia,
trasformare il grande in piccolo, il difficile in facile, il macro in micro. Faccio
un esempio tanto per chiarire. Quando ci imbattiamo in situazioni di carattere
economico finanziario, le operazioni delle banche e delle società finanziarie appaiono
come manovre di una complessità tale da crearci uno stato d’animo prossimo al
disprezzo di noi. Non capiamo. In realtà le cose non sono così complesse. Gli
individui che agiscono in tali organizzazioni non fanno altro che rendere
complessa una cosa semplice. Le ragioni sono molteplici e non è il caso qui di
elencarle, basti dire che nel corso della storia dell’uomo, in molti si sono
comportati così, in diversi campi, spesso al solo scopo di allontanare più
persone dalla possibilità di capire. Quando una società finanziaria agisce su
scala macroeconomica, basta ridurre l’operazione a una scala microeconomica. La
società finanziaria non si comporta in modo diverso dallo strozzino che presta
soldi a un piccolo esercizio commerciale in difficoltà, la banca presta solo
soldi a un grande esercizio commerciale in difficoltà. Lo scopo è lo stesso. Lucrare
profitto o arrivare alla condizione finale/ottimale, dove l’intero esercizio
commerciale, o un intero Stato Sovrano, passa di proprietà.
Questa breve premessa solo per anticipare che la sensazione
che tenterò di trasmettere, ho cercato di ridurla in rappresentazioni consuete,
poiché avverto che non sono affatto adeguato a una trattazione più astratta,
erudita, intellettuale, che per di più finirebbe per adulterare una realtà che
è di carattere quotidiano, visibile a tutti, perché tutti sono provvisti di
emozioni e di istinti.
Chi fa la scelta di spostarci in città con mezzi diversi,
non solo incontra problemi diversi, ma entra in contatto con ambienti diversi e
di conseguenza sviluppa consapevolezze diverse. Questo fa progredire una
visione/valutazione della realtà che appartiene in modo legittimo
all’individuo, ma che ha la caratteristica principale di includere o escludere
dall’ambiente che lo circonda.
Personalmente da anni ho scelto di spostarmi con la rete dei
trasporti urbani, i mezzi pubblici, con tutte le conseguenze che la scelta
comporta. Forse sarà la senilità, o una certa maggiore sensibilità
nell’osservare, nell’ascoltare, ma la sensazione principale è che dei malesseri
sociali striscianti si manifestino ora in modi che possono sfuggire a chi è
distratto, o disinteressato.
I mezzi pubblici della città in cui vivo, non possono essere
classificati come efficienti o accettabili o dignitosi. Sono stati e sono oggetto
di una metodica politica di rapina e commercio clientelare d’ogni specie.
Questa autentica sporcizia, di conseguenza, non può che essere frequentata da
individui che non possono proprio farne a meno, da chi non ha altri mezzi, o da
individui che sono costretti per mancanza, addirittura, di sostentamento. Oggi
gran parte di questa umanità è composta di non Italiani. Il loro numero è
andato via via aumentando, così da generare negli oriundi un crescente stato
d’animo che solo vivendolo in prima persona si ha la possibilità di percepirlo:
occhiate ostili, digrignar di denti, frasi malevole; mormorii appena distinti,
allusioni volgari, discussioni feroci per futili motivi.
Qualche giorno fa ero assorto nei miei pensieri, seduto su
un vecchio tram, quando sono stato distratto da una situazione. Mi sono
accorto, con inquietudine, che più della metà delle auto che procedevano a
passo d’uomo lungo la strada parallela alla sede tranviaria, erano guidate da
individui intenti a giocare con il loro “smartphone”, altri nello stesso tempo
guidavano, giocavano e fumavano. Piuttosto turbato nell’osservare a quale grado
si degenerazione sono giunti i comportamenti dell’homo sapiens urbano, il
turbamento si è trasformato in un diverso stato d’animo quando il tram si è
fermato, ha aperto le porte, proprio in prossimità di un incrocio. Il “fatto” è
avvenuto in pochi istanti. Al semaforo era fermo un SUV, uno di queste macchine
volgari e maleducate che percorrono le nostre strade; al volante c’era un
signore che osservava il suo “smartphone” e rideva, mentre, illuminato sul
lussuoso cruscotto, appariva un altro visore di non so che cosa. Finestrini
chiusi. A prima vista estraneo a tutto quel che avveniva al di fuori del suo
spazio vitale. Nello stesso istante è salito sul tram un signore dall’aspetto comune,
senza nessuna nota distintiva, un uomo qualunque. Una volta sulla vettura ha
intravisto tre individui seduti alla sua destra. Per puro caso ho osservato il
suo viso e la sua inequivocabile smorfia di disprezzo, all’indirizzo dei
soggetti non classificabili nella nostra stessa etnia. Stringendo i denti ha
sibilato anche una frase che ho compreso, e che ben sintetizzava la
considerazione che nutriva nei loro confronti. Quindi, mentre alla mia destra
il signore nel SUV sorrideva e si trastullava, nel TRAM un altro non aveva
altro modo di sfogare il suo disagio, la sua rabbia, che mormorare e corrodersi
all’indirizzo che ha creduto più opportuno. Questo non è certo un caso isolato,
ormai. È una delle tante reazioni quotidiane alla quale non facciamo più caso.
Non appena il tram è ripartito, non ho potuto fare a meno di
valutare l’esperienza. Non è stato
difficile intravvedere nel micro ciò che avviene nel macro. Il signore del SUV
era un classico archetipo: quello del “borghese” agiato, benestante, un po’
spocchioso a cui non interessa, o non valuta correttamente, l’emotività di chi
gli sta attorno. L’altro, il signore sul TRAM è l’altro archetipo, quello del
“proletariato” frustrato, sfruttato, che si sfoga su chi ritiene causa prima di
tutte le sue disgrazie, invece che uno dei sintomi del Male. La sua reazione
istintiva è frutto di un’emozione caratterizzata da ostilità, rabbia, da un
accumulo di frustrazioni che non trovano sbocco nelle giuste direzioni. Un tipo
di reazione provocata da uno stato di sofferenza, tipica degli individui oppressi
e incapaci di veicolare nel modo corretto ed efficace il risentimento.
Alla stragrande maggioranza dei politici di questo stato
d’animo non gliene importa niente: pensano che sia uno status così ben regolato
e pianificato nei minimi particolari, da non destare preoccupazione alcuna. Tanti
neanche lo avvertono, o lo catalogano come fattore secondario indotto; qualcuno
lo percepisce, ne fa la sua forza distintiva di penetrazione fra le Folle, ma
al di là di questo non emerge nulla, nelle sue dialettiche, che possano far
intuire che abbia la soluzione a porta di mano, o che si crucci al pensiero della
soluzione, poiché alle “sue spalle” non ha nessuna Idea di come si cura il
Male. Fino a qualche anno fa, tanti anni fa, le classi sociali erano
strutturate in modo tale da sviluppare mentalità armonizzate a delle
rappresentanze politiche, a delle strutture partitiche. Questo portava a una
certa visione del mondo e dei rapporti umani, una vaga chiarezza su diritti e
doveri, generava una ragnatela di rapporti e strutture che aiutavano a capire e
orientare i propri bisogni. Questo comportava che ogni individuo volenteroso poteva
partecipare al gioco della vita, non sentirsi escluso, e magari trovarne
giovamento. Ora questo tipo di dinamica è quasi scomparsa. Non ci sono più valide
strutture d’intermediazione. Non ci sono più reti di rapporti che permettevano
di sentirsi protagonisti di un processo sociale, la sensazione di essere
ascoltati, magari anche confortati o corretti. In sostanza, l’individuo è
sempre più solo e disperato. Tutto questo processo ha delle conseguenze.
L’individuo si chiude in se stesso. Ciò comporta un’esasperazione delle proprie
frustrazioni. Si arrabbia e non sa con chi sfogarsi, o lo fa su indirizzi
sbagliati, percepiti come giusti.
Non c’è molto altro da dire.
È una gran brutta situazione quella che stiamo vivendo,
perché ci sono solo due possibili vie d’uscita: la prima è la classica rivolta
destabilizzante, che senza Idee finirebbe per creare problemi a chi già ne ha
troppi; oppure, la seconda, peggiore, che vede una società immobile,
narcotizzata, rassegnata, sconfitta prima di lottare, accettare tutto, patire tutto,
magari reagendo solo digrignando i denti e mormorando sui tram.