Il desiderio di riprendere in esame questa memorabile fotografia,
che potete osservate in alto, non è dovuto al moto di spontaneo disgusto che in
molti hanno provato al primo contatto. Non desidero riaffermare il disagio che
mi ha suscitato. Sentivo che c’era un qualcosa di più profondo che avrei dovuto
svelare, per fermare quel classico “ruminamento” che solo certe persone conoscono
e subiscono. L’immagine mostra tre “razze” diverse di individui: ci sono gli imprenditori,
gli artisti, e intorno, una piccola folla di ragazzotti, così come ce ne sono
tanti ovunque. Ciò che si può notare con facilità, nel gruppo eterogeneo, è l’atteggiamento
rilassato, sorridente, quieto, rilevatore di uno stato d’animo che non denota
né preoccupazioni né tantomeno sensi di colpa. Tutti questi signori guardano il
fotografo, tuttavia, c’è anche qualcos’altro che è necessario considerare.
Certo, è verosimile che loro guardino il fotografo, ma con un piccolo sforzo
d’immaginazione potremmo anche credere che stiano guardando proprio Noi, che
guardiamo la fotografia.
Loro, a torto o a ragione, sono stati gravati da tutta una
serie d’accuse che ben conosciamo. Colpe che si sono limitate, però, al solo
gruppo in oggetto. Il sospetto è che queste specifiche accuse o sono prive di
fondamento, oppure vanno allargate a una ben più vasta maggioranza. Quindi,
questa varia umanità che sono in molti a giudicare, con troppa leggerezza, “arrogante,
presuntuosa, ladra, assassina e serva sciocca”, dall’atteggiamento ostentato,
sembrano invece rivelare una buona dose di distacco verso simili imputazioni.
È la loro pulizia morale e materiale che gli consente di ridere,
con le mani in tasca, davanti alle nostre facce perplesse o amareggiate?
È un classico insulto alla nostra intelligenza e sensibilità
il loro atteggiamento?
Dare delle frettolose risposte a delle legittime domande,
potrebbe suscitare il sospetto che abbiamo compiuto una brutta giustizia sommaria.
La realtà di certe situazioni spesso si mostra ai nostri
occhi più facile di quello che appare, con un conseguente giudizio che potrebbe
essere impreciso. È una realtà oggettiva che certi individui non soffrono di paure
d’umani o divini tormenti. Questi non appaiono sensibili ai delitti e all’immoralità
che ci circonda. Non sembrano neanche persone che si stimano un’aristocrazia
che può vivere al di là del bene e del male, oltre le discutibili leggi degli
uomini piccini. Sembrano piuttosto convinti che il loro agire sia corretto: la
vita esprime le più grandi potenzialità non nella metafisica della vita, quanto
piuttosto nella conoscenza della vita.
La compagnia sorridente e serena non sta deridendo una
maggioranza che subisce passivamente il male che fa; non sta ridendo in faccia
a una massa che crede di rintracciare oltre il suo volto godereccio la
consapevolezza del male che fanno.
Se in una popolazione un dieci per cento crede che rubare e
ammazzare per il massimo profitto sia giusto, e l’altro novanta per cento crede
che non sia giusto, questo ha delle conseguenze. Se invece un novanta per cento
crede che rubare e ammazzare per il massimo profitto sia giusto e un dieci per
cento no, questo ha altre conseguenze. Nel nostro Paese non si può dire che ci
siano ampie maggioranze che credono nella metafisica della Giustizia. Molti non
sanno neanche cosa sia la metafisica, e questo non incide sulla realtà delle
cose. Quasi tutti pensano semplicemente che la Giustizia sia soltanto una delle
tante variabili a discrezione umana. Magari pensano che rubare sia legittimo e
fonte d’ammirazione. Magari pensano che “eliminare” persone per trarne il
massimo profitto sia una logica conseguenza di un certo tipo di sviluppo. Magari
pensano che un certo tipo di mentalità mafiosa non sia prerogativa di una
ristretta cerchia di diversi, ma sia invece una diffusa mentalità. Tanto per chiarire
il pensiero, potrei citare lo splendido racconto del famoso scrittore di
fantascienza H. G. Wells, “Il paese dei ciechi”. In sintesi, in un Paese sulle
Ande rimasto isolato da generazioni dal mondo, vivono delle persone che da
generazioni sono diventate cieche. Quando giunge inatteso un visitatore che
vede benissimo, si crea fra lui e la popolazione un’accesa problematica. Lo
scrittore sa con abilità guidare il lettore attraverso i vari temi, che ben si
comprendono, quando la disputa avviene fra “ciechi e vedenti”.
Nel nostro Paese non succede mai nulla di sconvolgente al
cospetto di clamorose ruberie o ammazzamenti. La maggioranza considera questi
eventi come una semplice, logica, accettabile conseguenza: e questi sono i
ciechi del racconto di Wells, che non capiscono cosa significhi vedere, che è
la condizione del protagonista. Quando si consolida questo processo, ci sono scarse
possibilità di cambiamento, perché nessuno vuole cambiare, perché nessuno è
“diverso” dal resto. Fatte le debite proporzioni, ognuno nel suo piccolo si
sente come le persone che sta guardando nella foto. Non c’è nessuna differenza
fra la grande corruzione istruita dal venditore di maglioni e l’ultimo usciere
del ministero. Entrambi sapientemente al corrente della facilità con cui ogni individuo
può essere corrotto, lasciano che le cose vadano come sempre sono andate,
sempre peggio in efficienza, quindi decadimento, quindi clientelismo, quindi quel
malaffare che consente all'impiegato del ministero di chiedere denaro per
sveltire una pratica o all’imprenditore di ricevere un appalto.
Forse non molti hanno fatto caso a dei piccoli particolari
che fanno intuire che le cose procedono sempre in un certo modo. Quando al politico,
o all’imprenditore, o al tirapiedi/lacchè di turno è contestato un reato,
intervistato dal giornalista, risponde sempre con la solita frase: “Io sono
tranquillo!” Perché dicono tutti la stessa cosa? Perché sono sempre rilassati e
sereni? Perché ridono. Tranquilli? Si beffano del giornalista? O si beffano di
noi? Non si beffano né dell’uno né degli altri: semplicemente “sanno bene” che
mai nessun politico o imprenditore o finanziere andrà in galera, per aver
rubato o ammazzato. Altro piccolo particolare è la recente e ciclica notizia
della solita “operazione di polizia contro una mafia regionale. Nel narrare il
giornalista ha annunciato l’arresto di molteplici membri di una “nota Famiglia mafiosa”.
Nell’informare la popolazione, ha citato anche altre cinque o sei famiglie, guarda
caso libere, rivali della famiglia sgominata. Perché, conoscendo tutte le
Famiglie che operano sul territorio, si è badato a eliminarne una sola? È
possibile ipotizzare che non era nel loro interesse eliminare l’intera
organizzazione, ma solo quella legata a una “organizzazione” perdente?
Non ho la sensazione che ci sia la diffusa volontà di
combattere “il male” in quanto tale. Quanto piuttosto che si combatta solo una
parte del male, quello che può far male a me. Li chiamano “comitati d’affari”,
ma non lo sono, sono bande, gruppi, famiglie criminali che o si spartiscono il
bottino, o se ne danno di santa ragione per non dividersi il bottino. Sono nient’altro
che gli antichi ordini feudali rivestite di abiti moderni: “Se vogliamo che
tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, dice Fabrizio, il Principe di
Salina nel “Gattopardo”. Siamo un Paese capitalista senza capitalisti. Nel nostro Paese non c’è mai stato nessun
“capitalismo” in senso stretto del termine, ma semplici feudatari decadenti, parassiti
sociali che fanno con metodo ricorso a continue ruberie ai danni delle casse
dello Stato. Il più osannato, il più grande di tutti, omosessuale e
cocainomane, depredava sistematicamente le risorse pubbliche e spartiva utili
con i suoi vassalli, sudditi e servi. Da allora nulla è cambiato. Banche e
istituti finanziari derubare da una parte e fanno dono dall’altra.
Qualcuno dirà: “Ma se così è, se è così come dici, per quale
motivo questo Paese marcio non crolla sotto le sue malefatte?” Semplice. Non
succede nulla per il semplice motivo che le persone nella foto non agiscono in
modo isolato, ma secondo un ben organizzato modello di corruzione e complicità.
Loro sanno bene che nessuno potrà mai contestargli nulla. Sono legati a doppio
filo a organi statali, politici, istituzionali e sottoboschi parlamentari: se
saltano loro, salta l’intero sistema. Ma il sistema non salterà mai, sono tutti
lì a difenderlo, o meglio, ignorando o ridicolizzando la metafisica del male:
chi ammazza quarantatre persone o chi chiede mazzette per accelerare una
pratica, in un “Paese di ciechi” è pienamente innocente. L’innocenza del male. Innocente
è anche quel Partito a cui è stata contestata una clamorosa ruberia a proposito
del “finanziamento pubblico dei partiti”. A esso è stata concessa una comoda
dilazione. Un provvidenziale compromesso. Il “famoso partito” restituisce, o fa
finta di restituire, ciò che ha rubato, così il “famoso partito” tace e non
denuncia “tutti i partiti” che hanno rubato mediante il “finanziamento pubblico
dei partiti”. A nessuno conviene far saltare il tappo di questo Paese, quindi
tutto si può accomodare.
Non so se giunto a questo punto, qualcuno mi accuserà, o m’informerà,
che le cose che penso è scrivo potrebbero essere supposizioni, fantasie,
sciocchezze. È vero. Come si può giudicare un’analisi vera o falsa?
Qui si aprirebbe il complicato “problema delle fonti”: e non
mi pare il caso di infierire.
Quando un individuo di media cultura e intelligenza arriva
alla determinazione che nel suo modo di vedere il Mondo e le Cose del Mondo c’è
bisogno di un approfondimento, poiché i tanti aspetti che ha sempre dato per
scontati sono stati d’improvviso stravolti, l’individuo pensante si trova di
fronte all’impellente desiderio di leggere e riflettere di più, quindi
aumentare le ore che dedica allo studio. Le problematiche che sorgono davanti
alla non invidiabile posizione, non risultato subito così complesse da
scoraggiare. Il desiderio di sapere è così forte che non ci si accorge neanche
che ci si è inoltrati in un vicolo cieco: e questo è un male.
Nell’esaminare una questione può apparire evidente che ciò
che stiamo leggendo è una verità assoluta, oppure, all’opposto, pensiamo che
sia solo un’interpretazione di chi ha approfondito il tema. Ci può apparire
scontato che un pensiero sia in sintonia con quello che pensiamo, oppure c’è la
possibilità che appaia la sensazione che il nostro pensiero sia frutto di un
processo che ci ha visto sempre “discepoli”. L’idea che forse la nostra
opinione non sia la nostra opinione, ma un’opinione altrui che abbiamo sempre
considerato vera, non è poi così impossibile da credere.
Non c’è nessun sistema che possa affermare che il proprio
modo di osservare sia la verità. Tutto può essere vero e tutto può essere
falso. Siamo noi, Uomini, la misura di tutto.
Certi filosofi hanno affermato che “l’infinito” esiste, altri
che non esiste. Semplice spiegare quale dramma sfocia da queste affermazioni
che non hanno modo di essere provate: se esistesse, andando all’infinito nel
grande e nel piccolo non ci sarebbe mai fine nell’uno e nell’altro; se non
esistesse, potremmo qualificare il grande e il piccolo. Un limite oggettivo che
annulla qualsiasi altro aspetto speculativo. Ben conoscendo questo margine,
grandi personalità hanno consigliato un qualcosa che ponesse fine a tale
inutile tormento. Una necessaria necessità. Se non riesco ad afferrare la
verità, o non esiste la verità, allora sono costretto a inventarla. Basta una
qualsiasi a frenare il caos, il logoramento mentale e la disperazione: ebraismo,
cristianesimo, musulmanesimo, marxismo, liberalismo, l’importante è mettere il
cervello a riposo.
Tranquillo. Sereno. Fiducioso.
La collettiva narcosi di un animale inadeguato che non sa
trovare nella pura Realtà della Vita un motivo valido per viverla.