Blog di MASSIMO PERINELLI, scrittore che proporre in lettura alcune sue opere letterarie; così come articoli di letteratura, politica, filosofia, testi che dovrebbero favorire un confronto sui diversi temi del vivere. Nulla di più che un estremo tentativo, nato da una residua fiducia nelle possibilità che hanno gli individui di comunicare. In fondo solo un "grido muto", segno di una dignitosa emarginazione.

lunedì 8 giugno 2020

UNA FOGNA CHIAMATA ATAC/CITTÀ/PAESE (Azienda Tranvie e Autobus del Comune)

Chi vive da sempre in una città come Roma, ed è anziano, sa bene che ci sono delle problematiche talmente incancrenite, contorte e decadenti che, con amarezza, vanno accettate per quello che sono. Le soluzioni richiederebbero degli interventi radicali, coordinati da personalità senza timori o debolezze, personaggi che purtroppo non abbiamo mai avuto. L’azienda citata non è la sola a essere degradata, ovviamente, ma è senza dubbio un luminoso esempio di un ambiente corale pubblico proteso al massimo profitto privato, e non al bene comune.

Inutile dilungarsi sulle sporcizie accumulate nel tempo. Meglio impegnarsi a divulgare una delle tante indecenze quotidiane che siamo costretti a subire.

La recente esperienza personale.

Davanti all’edificio dove abito da quarant’anni, si estende un deposito ATAC che accoglie dei vecchi tram che camminano da non meno di sessant’anni. Il deposito è talmente anacronistico per la posizione occupata e per la vetustà dell’edificio, che appare come una bruttura insopportabile da vedere e da sentire. La vergogna è composta di più fabbricati e uno di questi sembra adibito a uffici. Sul tetto ci sono dei macchinari che, presumibilmente, servono al condizionamento; impianti in condizioni imbarazzanti da vedere e anche rumorosi, che tutto il vicinato sopporta con pazienza, rassegnato a una delle tante schifezze che non si riescono a migliorare. Quindi, sabato scorso, 30 maggio, alle 9.45 circa del mattino, una di queste attrezzature ha iniziato a rovesciare intorno un suono preoccupante, acuto e fastidioso. Ritenuto ovvio un rapido intervento, abbiamo atteso fino alle 17 circa, quando è misteriosamente cessato. Convinti che tutto si fosse risolto per il meglio, con disappunto verso le 2 di notte, invece, la “sirena” si è rimessa in funzione. Senza smettere mai. La mattina successiva, domenica 31 maggio, esausto, mi sono recato nella portineria dell’edificio per denunciare il problema. Un custode, “guardia giurata”, si è subito trincerato dietro un classico “Non so cosa fare… non è compito mio…”. Invitato a verificare la gravità del problema, e resosi conto lui stesso, mi ha assicurato che avrebbe fatto presente il guasto. Inutile dire che il guasto non è stato risolto. Lunedì 1 giugno sono tornato in portineria, e un’altra “guardia giurata”, dopo toccanti affermazioni di partecipazione, mi ha accompagnato, rimarcando il privilegio accordatomi, da due smunti impiegati, un maschio e una femmina, che si sono anch’essi affrettati a informarmi che non erano tenuti a intervenire, pur conoscendo l’origine del guasto.

La rapida visita di altre due strutture ATAC vicine, e la conoscenza di altre “guardie giurate” impegnate a giocare con i loro smartphone, mi hanno confermato l’assurdo che nessun responsabile, vuoi impiegato o dirigente, era presente nelle varie sedi.

Tutti assenti da chissà quanto tempo e fino a mercoledì 3 giugno.

Dopo nuove ore d’incubo, martedì 2 giugno, Festa della Repubblica, ritornato nella portineria, l’ennesima “guardia giurata” mi ha candidamente preso in giro assicurandomi che in giornata avrebbero risolto il problema. Falso. Nessun intervento. La sirena ha continuato a lacerare l’aria con ferocia, per ore e ore. Disperato e sull’orlo di una crisi di nervi, ho telefonato in ordine: alla Polizia Urbana (Vigili), alla Pubblica Sicurezza, ai Carabinieri e ai Vigili del Fuoco. Più volte, di continuo, con insistenza. Nessuno, pur assicurandomi una soluzione, ha fatto nulla per aiutarci.

La sirena ha continuato a suonare.

Mercoledì 3 giugno, alle ore 9.00, dopo l’ennesima nottata da incubo, sono sceso di fretta, e in portineria questa volta c’era una signora, che all’ennesima richiesta d’aiuto mi ha risposto: “Ma adesso non c’è nessuno!” Esibendo un sorriso falso.

Davanti all’ennesima menzogna, la mente ragionevole ha ceduto. Ho iniziato a urlare e a imprecare, in modo deciso ma consapevole, e come per magia, gli urli hanno materializzato sull’uscio due sorpresi impiegati, che ho invitato subito ad assumersi le proprie responsabilità. E qui, proprio in quel preciso istante, c’è stata la prova suprema della sporcizia morale e materiale che certi individui sono capaci d’esprimere. Negando l’evidenza hanno girato la responsabilità su dei condizionatori posti su edifici vicini. Ma l’immagine più spregevole di tutta questa storia, l’immagine che la caratterizza, è l’istante in cui mentre un “impiegato” continuava a negare in modo insolente, il suo collega, intravisto dalla finestra da mia Moglie e da mia Figlia, con un semplice cacciavite in mano si affrettava a salire sul tetto per spegnere l’apparecchiatura guasta.

Cos’altro dire?

Quattro giorni d’incubo per tutto il vicinato, per non salire due minuti su una scaletta e sul tetto.

Quattro giorni d’incubo e di arrabbiature per la falsità, la disonestà e la pusillanimità di miserabili individui.

In questa brutta storia non ci sono responsabilità maggiori o minori, le colpe vanno distribuite senza riserva alcuna su tutta l’Azienda. L’ATAC è sempre stata un volgare carrozzone clientelare, buono solo ad arricchire e gratificare la sporcizia umana di turno. Scansafatiche e profittatori. Parassiti e imbroglioni. Vampiri e traffichini. Una struttura parassitaria e indecorosa.

L’ATAC non è un’azienda malata, è una fogna che andrebbe risanata. Ma non è la sola. L’ATAC è l’immagine paradigmatica della Città e del Paese. Quel sentirsi scaltri al punto da riuscire a fregare e a prendere in giro tutti, restando impuniti. Le “società pubbliche” non brillando in attenzione per il cittadino, quel cittadino apatico che paga e invece di ricevere rispetto subisce insolenze. Le “società pubbliche” dimostrano che la nostra “vita civile” non è che un assoluto disinteressarsi dell’altro, un depredare, un beffare, un deridere sistematico e compiaciuto.

Uno stile di vita che mortifica ogni solidarietà e rispetto umano.