Queste riflessioni
nascono da un errore in cui qualsiasi individuo può incorrere nel corso della
vita. Un errore che potrei definire di carattere “tecnico comunicativo”: il
ritenere che un modo di discutere possa esser valido per ogni sistema di
scambio dialettico. In realtà non è così. Ogni tecnologia che viene in aiuto, a
maggior ragione una “recente”, necessità di una specifica conoscenza e poi di
una pratica che eviti pessime figure ed equivoci.
Cercando di dialogare su
Facebook, un Amico mi ha fatto presente, rimproverandomi garbatamente, dopo
miei svariati svarioni, che le opinioni e le posizioni che da qualche tempo
andavo esprimendo non erano degne di considerazione, poiché lasciavano intravedere
archetipi odiosi: “Fascista, qualunquista, omofono, razzista”. A suo dire
questo avvaloravano l’idea di una mia presa di posizione politica e sociale diversa
dal solito. Il biasimo era pervaso, comunque, da un affetto derivato da una
lunga amicizia, solida e fruttuosa. Queste verifiche sono auspicabili e
gradite, senza di esse tutto il nostro agire si ridurrebbe a uno sterile
soliloquio. Dopo questa critica, che ha avuto bisogno di un certo tempo di
decantazione per essere metabolizzata e interpretata correttamente, il tutto si
sarebbe potuto ridurre a una semplice presa d’atto dell’errore, cui avrei posto
riparo al più presto. Una mente sana avrebbe agito così, ma una mente disturbata
non agisce come una mente sana, infatti, dopo, è stato tutto un agitarsi di
riflessioni. Chiaro che non era quello il modo di presentare le problematiche.
Chiaro che ho offerto di me un’immagine non corretta. Restava tuttavia che le “opinioni
a Lui odiose” sono elementi reali di un diverso e sempre più diffuso modo di
interpretare i rapporti umani e la vita. Accanto a questa semplice evidenza, nelle
sue parole e nella sua posizione c’era però un qualcosa di più che mi ha fatto pensare
a una “mancanza”. Forse, un latente atteggiamento di chiusura preconcetta nei
confronti di idee e soluzioni diverse dal nostro modo di giudicare il mondo. Le
“offese” da Lui elencate, in realtà, fanno parte da qualche tempo del carente bagaglio
di vocaboli usati dai politici, che non avendo la minima possibilità di
confrontarsi su delle politiche concrete di carattere generale, ricorrono a
queste elementari “ingiurie”. La Folla le ripete, il più delle volte senza
avere la minima idea di cosa sta ripetendo. Sono mode che si ripresentano con
carattere non proprio costante, in base alle necessità. Oggi si dice sei un
Fascista, fino a qualche anno fa andava di moda dire che sei un Comunista. La
dinamica ha una particolare somiglianza con quelle tipologie di scontri verbali
fra tifosi di squadre di calcio. C’è assai poco di diverso. Quindi, dopo aver
giustamente rilevato il mio errore, il mio Amico ha avvertito il bisogno di
concludere con una legittima affermazione di diversità, il suo modo di
intendere la società, e infine l’umanissimo desiderio senile di chi ha vissuto
la vita e non sente più il bisogno di confrontarsi. Questa affermazione del
“sé” è la preziosa risorsa di chi crede fermamente nelle proprie capacità e
convinzioni; però, è anche l’ultima risorsa di chi comprende che non c’è
nessun’altra via d’uscita al problema irrisolvibile della verità. Da qui,
l’evidenza che fra i due individui ci fosse una condizione umana che li fa
apparire come contraddittori dialoganti che stanno attingendo le loro asserzioni
da due pozzi diversi.
Agostino da Ippona, il
sant’Agostino dei cattolici, nei suoi scritti pervasi da beato delirio mistico,
parla di un presunto stato di “grazia”, cui dio in persona fa misteriosamente
dono ad alcuni fortunati esseri umani. Non spiega il motivo di quest’atto
divino, facendo ricorso alla voce “verità di fede”, una voce che ricorre spesso
quando non si riesce a dare una spiegazione plausibile a certi ingegnosi misteri.
Questo stato di grazia esiste e sembra si manifesti fra gli umani in diversi
modi, generando però la medesima sensazione di serenità, il sospetto di essere dei
privilegiati: chi conosce l’Amore e lo vive dando così un significato alla propria
vita, per esempio, chi crede in dio e nell’immortalità, o chi crede che la vita
abbia un senso. Sono in molti a ricorrere a questa affermazione dell’Io, spesso
mettendola astutamente in coda, così da non consentire più una prosecuzione del
discorso. Questo tipo di atteggiamento è “classico”, per esempio, dei
cattolici: quando la discussione arriva a temi contraddittori o ambigui o difficoltosi,
loro sorridono e affermano sicuri: “Ma io ci credo!” Mi è sembrato subito palese
che qui non ero di fronte a questo tipo di individuo, quindi c’era qualcos'altro da scoprire. C’è da dire che Lui non è il solo portatore sano di questa
certezza. Conosco tante persone che difendono i loro Valori in questo modo, e
su questa solidità fondano un privato metro di giudizio. Sapere bene da sempre,
da quando si è piccoli a quando si è grandi, quali sono i propri punti di
riferimento, è un esempio di quella grazia Agostiniana cui accennavo prima?
E questa coerente
immutabilità, è segno inequivocabile di un dono trascendentale?
Il buon Agostino da
Ippona ha anche teorizzato un altro concetto, che è quello della
“predestinazione”. Senza farla troppo lunga, in
estrema sintesi, vuol dire che dio, sapendo già ogni cosa di tutti e di
tutto, sa bene quali sono le creature che si possono salvare e quelle che non
hanno nessuna speranza. Inferno e paradiso. È ipotesi quindi plausibile che i
soggetti che fanno ricorso alla perfetta conoscenza di sé, siano individui
predestinati alla salvezza, mentre gli altri, che da un punto in avanti della
loro vita, su certi aspetti non fanno che rotolarsi come indemoniati fra dubbi
e perplessità, siano gli esclusi: predestinati al tormento eterno.
Questo illustrato
sommariamente è solo un aspetto della riflessione, potremmo dire “l’aspetto spirituale”,
l’altro, “l’aspetto materiale”, non si può dire che sia di minore importanza.
Spirito e materia.
Filosofia, come si sa,
significa amore per la conoscenza. Uno dei suoi aspetti dominanti è la ricerca
di quella verità, che sembra sfuggire un po’ a tutti gli studiosi. Se la
filosofia è ricerca della verità, quando un individuo dice di cercarla ci
troviamo di fronte a un uomo di buon senso, quando lo stesso afferma di averla
trovata il buon senso sfuma, e da quel momento in poi le sue riflessioni non
sono più di carattere filosofico, ma sono qualcos'altro: sono teologia. I grandi
del passato, che hanno trascorso la loro vita a riflettere su importanti temi,
almeno i migliori, se ne sono guardati bene dall'affermare di aver raggiunto la
verità. Più modestamente hanno cercato di far intendere al mondo che la loro
ricerca fosse più un contributo alla verità. Questa semplice consapevolezza ha
fatto si che consegnassero alla storia delle cose giuste, ma anche tante
sciocchezze, Quindi, la trasformazione di un semplice pensiero soggettivo e
umanamente passibile d’errore, in una verità assoluta e oggettiva è un evidente
arbitrio. Karl Marx non era Marxista. Charles Darwin non era Darwinista. Chi li
ha trasformati in dogmi teologici ha fatto indossare a delle semplici tesi la
camicia di forza della Verità. All'opposto, Zarathustra era Persiano, Mosè era
Ebreo. Paolo di Tarso era Cristiano. Thomas Muntzer e Lenin erano Comunisti,
corretto definirli come teologia religiosa e politica, poiché non c’è nulla che
possa far credere che nel loro pensiero ci fosse qualcosa che possa
assomigliare a un dubbio. La storia è colma di individui, episodi, convinzioni
filosofiche e politiche che hanno influenzato e influenzano ancora il loro
tempo, fidando di essere nel giusto: le insidiose teologie orientali diffuse in
occidente tramite la religione ebraica; le ingenue convinzioni degli
Illuministi; la persuasione di riuscire a spiegare la complessità dell’uomo,
della società, e delle dinamiche storiche tramite metodi scientifici, sistemi
d’analisi della società elaborati in un secolo, il XIX, fanatico
d’evoluzionismo e positivismo. Credute vere e poi molte superate da altre
verità.
Tutto questo dissertare
si può ridurre, nel quotidiano, in uno stato di quiete, da una parte, e in una
affannosa ricerca di un qualcosa che si sente d’aver perduto, dall’altra.
Al di là di quale siano
davvero le cause.
Il sé, l’individuale credere
un’azione giusta o sbagliata, buona o cattiva, non è fattore inequivocabile di
una correttezza delle percezioni e delle analisi. Potrebbero non esistere
affatto il buono e il cattivo, il giusto e l’ingiusto. Molte persone oggi
pensano che ammazzare moglie e figli buttandoli dalla finestra sia segno di una
consapevolezza della mostruosità della vita a cui siamo ridotti, che altri non
hanno. Credere che un Sistema sia migliore di un altro, perché a noi c’è più
consono ai sensi, non è segno che questo Sistema sia corretto. Credere che la
nostra Idea sia giusta perché ci appartiene da sempre, non è segno che l’Idea
sia corretta. Credere che la realtà che percepiscono i nostri occhi sia la
Realtà, non è segno che quella realtà sia vera. Spesso ricorrere al sé è un
efficace espediente per evitare di approfondire cose che ci sono istintivamente
odiose, per cultura ricevuta odiose, per appartenenza politica odiose, per
carattere odiose: avvolgiamo di oggettività cose che appartengono alla sfera
della soggettività, dell’individualità, della personalità: la grande
problematica poco affrontata dell’imprinting formativo. La grande problematica
poco affrontata delle “fonti” dove attingiamo le nostre convinzioni. La quasi
totale impossibilità che gli individui possano emanciparsi in modo costruttivo
dal loro stato di soggezione nei confronti di Madri, Padri, Maestri, Ideologie,
così da non riuscire mai a scoprire se stessi e le proprie Idee.
Un’opera può esser
giudicata vera da un individuo e falsa da un altro; ma una stessa opera non può
essere vera e falsa nello stesso tempo. Quindi, tutto può essere vero e tutto
può essere falso.
Resta a questo punto solo
la nostra personale discutibile interpretazione.
Come facciamo a esser
certi che le cose che sono un bene per noi siano un bene anche per gli altri?
Qui si potrebbe far
ricorso al discorso della “democrazia” e del “totalitarismo”, della
“maggioranza” e della “minoranza”, ma è un aspetto lungo e complesso che
eviterei, poiché non ha ragion d’esistere fra queste righe, che hanno il solo
scopo di mettere in risalto due modi diversi di essere individui pensati. Chi è
caduto nella dannazione del “dubbio” non è mai più riuscito, se non in casi
eccezionali, a riafferrare quell’ancora di salvataggio dal nulla che è la fede
in qualcosa, fede in una qualsiasi cosa, perché comunque di fede si tratta: il
sé, l’idea politica, l’idea filosofica, l’idea storica, l’idea economica, l’idea
sociale. Si rimane sospesi fra un passato fatto di certezze, un presente
caotico e un futuro che non si riesce neanche a distinguere. Tutto si trasforma
in potenziale menzogna, nel passato e nel presente, perché tutto è stato visto
ed è visto da occhi che non sono i tuoi, riferito da menti che hanno solo
interpretato la realtà.
È l’altra faccia della
medaglia, all'individuo sostenuto dalle proprie certezze, si contrappose
l’individuo senza più punti di riferimento, perfino senza più nessuna certezza
sensoriale. Questo pover'uomo non può, a questo punto, che affidarsi a ciò che,
per fortuna sua gli rimane: l’Amore, che tanti disperati ha salvato, e in
mancanza tanti disperati ha condannato.