Mi auguro con questa caotica confessione
di prestare aiuto almeno a chi si trova nel medesimo stato d’animo. Volevo
precisare, a chi interessa, sospetto quindi a pochi o a nessuno, che la mia
posizione in fatto di “consumo di carne animale” è assai complessa e
conflittuale. Non sono vegano, né vegetariano, mi definirei piuttosto un
semivegetariano, poiché consumo con crescenti sensi di colpa pochissime “specie
animali”. Non credo che forme di fanatismo controproducente possano risolvere
il problema, il problema non è tale se osservato dalla parte della
Natura. I predatori cacciano e uccidono per mangiare: un Gatto o una Tigre
vegana mi appaiono difficili da immaginare. Credo invece di assoluta immoralità
e crudeltà il sistema della “produzione intensiva” della carne, e dei suoi
derivati. Tuttavia, credo che questo sia un tema non stralciabile dal grande
discorso del sistema capitalistico consumistico. Se il paradigma di una società
è il profitto, tutta la società sconta le conseguenze di questa malattia psichica.
Persone malate di mente non possono prestare attenzione a sofferenze e dolori
altrui, sia essi animali sia essi esseri umani. La mostruosità da eliminare,
con le buone o con le cattive, sono dunque le produzioni intensive che riducono
esseri viventi a pure esteriorità insensibili.
Vendere bistecche di maiale/vitellone/pollo
a pochi euro il chilo è crudele e immorale.
Dunque, bisogna riportare la
produzione a livelli di tollerabilità, realizzata da umanità responsabile e
consapevole delle sofferenze. Riportare la vita di queste Creature a una forma
ammissibile, accettabile, tollerabile di esistenza. Se questo poi dovesse
comportare un aumento dei costi, tanto meglio, poiché significherebbe
riequilibrare le abitudini alimentari di un homo sapiens sempre più grasso,
flaccido, bulimico, incapace di sopravvivere e riprodursi, corrotto nei sensi, inebetito
e ridotto a vuoto consumatore moribondo di animali morti fra eccessivi patimenti.