Blog di MASSIMO PERINELLI, scrittore che proporre in lettura alcune sue opere letterarie; così come articoli di letteratura, politica, filosofia, testi che dovrebbero favorire un confronto sui diversi temi del vivere. Nulla di più che un estremo tentativo, nato da una residua fiducia nelle possibilità che hanno gli individui di comunicare. In fondo solo un "grido muto", segno di una dignitosa emarginazione.

lunedì 4 novembre 2019

Suv e Tram

“C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza…”

“C’è solo la strada” di Giorgio Gaber

Procedendo lungo il sentiero della vecchiaia sotto braccio a una mediocre saggezza, mi sono sempre più reso conto come sia necessario un certo modo d’esprimersi, per rendere efficace una comunicazione. Questo non comporta sempre una trasposizione in elementi miseri e incompleti ciò che si deve dire, quanto piuttosto una trasposizione in immagini minori, che siano però comparabili con le immagini maggiori che vorremmo trasmettere. Ossia, trasformare il grande in piccolo, il difficile in facile, il macro in micro. Faccio un esempio tanto per chiarire. Quando ci imbattiamo in situazioni di carattere economico finanziario, le operazioni delle banche e delle società finanziarie appaiono come manovre di una complessità tale da crearci uno stato d’animo prossimo al disprezzo di noi. Non capiamo. In realtà le cose non sono così complesse. Gli individui che agiscono in tali organizzazioni non fanno altro che rendere complessa una cosa semplice. Le ragioni sono molteplici e non è il caso qui di elencarle, basti dire che nel corso della storia dell’uomo, in molti si sono comportati così, in diversi campi, spesso al solo scopo di allontanare più persone dalla possibilità di capire. Quando una società finanziaria agisce su scala macroeconomica, basta ridurre l’operazione a una scala microeconomica. La società finanziaria non si comporta in modo diverso dallo strozzino che presta soldi a un piccolo esercizio commerciale in difficoltà, la banca presta solo soldi a un grande esercizio commerciale in difficoltà. Lo scopo è lo stesso. Lucrare profitto o arrivare alla condizione finale/ottimale, dove l’intero esercizio commerciale, o un intero Stato Sovrano, passa di proprietà.
Questa breve premessa solo per anticipare che la sensazione che tenterò di trasmettere, ho cercato di ridurla in rappresentazioni consuete, poiché avverto che non sono affatto adeguato a una trattazione più astratta, erudita, intellettuale, che per di più finirebbe per adulterare una realtà che è di carattere quotidiano, visibile a tutti, perché tutti sono provvisti di emozioni e di istinti.

Chi fa la scelta di spostarci in città con mezzi diversi, non solo incontra problemi diversi, ma entra in contatto con ambienti diversi e di conseguenza sviluppa consapevolezze diverse. Questo fa progredire una visione/valutazione della realtà che appartiene in modo legittimo all’individuo, ma che ha la caratteristica principale di includere o escludere dall’ambiente che lo circonda.
Personalmente da anni ho scelto di spostarmi con la rete dei trasporti urbani, i mezzi pubblici, con tutte le conseguenze che la scelta comporta. Forse sarà la senilità, o una certa maggiore sensibilità nell’osservare, nell’ascoltare, ma la sensazione principale è che dei malesseri sociali striscianti si manifestino ora in modi che possono sfuggire a chi è distratto, o disinteressato.
I mezzi pubblici della città in cui vivo, non possono essere classificati come efficienti o accettabili o dignitosi. Sono stati e sono oggetto di una metodica politica di rapina e commercio clientelare d’ogni specie. Questa autentica sporcizia, di conseguenza, non può che essere frequentata da individui che non possono proprio farne a meno, da chi non ha altri mezzi, o da individui che sono costretti per mancanza, addirittura, di sostentamento. Oggi gran parte di questa umanità è composta di non Italiani. Il loro numero è andato via via aumentando, così da generare negli oriundi un crescente stato d’animo che solo vivendolo in prima persona si ha la possibilità di percepirlo: occhiate ostili, digrignar di denti, frasi malevole; mormorii appena distinti, allusioni volgari, discussioni feroci per futili motivi.
Qualche giorno fa ero assorto nei miei pensieri, seduto su un vecchio tram, quando sono stato distratto da una situazione. Mi sono accorto, con inquietudine, che più della metà delle auto che procedevano a passo d’uomo lungo la strada parallela alla sede tranviaria, erano guidate da individui intenti a giocare con il loro “smartphone”, altri nello stesso tempo guidavano, giocavano e fumavano. Piuttosto turbato nell’osservare a quale grado si degenerazione sono giunti i comportamenti dell’homo sapiens urbano, il turbamento si è trasformato in un diverso stato d’animo quando il tram si è fermato, ha aperto le porte, proprio in prossimità di un incrocio. Il “fatto” è avvenuto in pochi istanti. Al semaforo era fermo un SUV, uno di queste macchine volgari e maleducate che percorrono le nostre strade; al volante c’era un signore che osservava il suo “smartphone” e rideva, mentre, illuminato sul lussuoso cruscotto, appariva un altro visore di non so che cosa. Finestrini chiusi. A prima vista estraneo a tutto quel che avveniva al di fuori del suo spazio vitale. Nello stesso istante è salito sul tram un signore dall’aspetto comune, senza nessuna nota distintiva, un uomo qualunque. Una volta sulla vettura ha intravisto tre individui seduti alla sua destra. Per puro caso ho osservato il suo viso e la sua inequivocabile smorfia di disprezzo, all’indirizzo dei soggetti non classificabili nella nostra stessa etnia. Stringendo i denti ha sibilato anche una frase che ho compreso, e che ben sintetizzava la considerazione che nutriva nei loro confronti. Quindi, mentre alla mia destra il signore nel SUV sorrideva e si trastullava, nel TRAM un altro non aveva altro modo di sfogare il suo disagio, la sua rabbia, che mormorare e corrodersi all’indirizzo che ha creduto più opportuno. Questo non è certo un caso isolato, ormai. È una delle tante reazioni quotidiane alla quale non facciamo più caso.
Non appena il tram è ripartito, non ho potuto fare a meno di valutare l’esperienza.  Non è stato difficile intravvedere nel micro ciò che avviene nel macro. Il signore del SUV era un classico archetipo: quello del “borghese” agiato, benestante, un po’ spocchioso a cui non interessa, o non valuta correttamente, l’emotività di chi gli sta attorno. L’altro, il signore sul TRAM è l’altro archetipo, quello del “proletariato” frustrato, sfruttato, che si sfoga su chi ritiene causa prima di tutte le sue disgrazie, invece che uno dei sintomi del Male. La sua reazione istintiva è frutto di un’emozione caratterizzata da ostilità, rabbia, da un accumulo di frustrazioni che non trovano sbocco nelle giuste direzioni. Un tipo di reazione provocata da uno stato di sofferenza, tipica degli individui oppressi e incapaci di veicolare nel modo corretto ed efficace il risentimento.
Alla stragrande maggioranza dei politici di questo stato d’animo non gliene importa niente: pensano che sia uno status così ben regolato e pianificato nei minimi particolari, da non destare preoccupazione alcuna. Tanti neanche lo avvertono, o lo catalogano come fattore secondario indotto; qualcuno lo percepisce, ne fa la sua forza distintiva di penetrazione fra le Folle, ma al di là di questo non emerge nulla, nelle sue dialettiche, che possano far intuire che abbia la soluzione a porta di mano, o che si crucci al pensiero della soluzione, poiché alle “sue spalle” non ha nessuna Idea di come si cura il Male. Fino a qualche anno fa, tanti anni fa, le classi sociali erano strutturate in modo tale da sviluppare mentalità armonizzate a delle rappresentanze politiche, a delle strutture partitiche. Questo portava a una certa visione del mondo e dei rapporti umani, una vaga chiarezza su diritti e doveri, generava una ragnatela di rapporti e strutture che aiutavano a capire e orientare i propri bisogni. Questo comportava che ogni individuo volenteroso poteva partecipare al gioco della vita, non sentirsi escluso, e magari trovarne giovamento. Ora questo tipo di dinamica è quasi scomparsa. Non ci sono più valide strutture d’intermediazione. Non ci sono più reti di rapporti che permettevano di sentirsi protagonisti di un processo sociale, la sensazione di essere ascoltati, magari anche confortati o corretti. In sostanza, l’individuo è sempre più solo e disperato. Tutto questo processo ha delle conseguenze. L’individuo si chiude in se stesso. Ciò comporta un’esasperazione delle proprie frustrazioni. Si arrabbia e non sa con chi sfogarsi, o lo fa su indirizzi sbagliati, percepiti come giusti.

Non c’è molto altro da dire.
È una gran brutta situazione quella che stiamo vivendo, perché ci sono solo due possibili vie d’uscita: la prima è la classica rivolta destabilizzante, che senza Idee finirebbe per creare problemi a chi già ne ha troppi; oppure, la seconda, peggiore, che vede una società immobile, narcotizzata, rassegnata, sconfitta prima di lottare, accettare tutto, patire tutto, magari reagendo solo digrignando i denti e mormorando sui tram.
  

Nessun commento:

Posta un commento