La teoria della
selezione naturale si basa sull’opinione che ciascuna nuova varietà, e infine
ciascuna nuova specie, è prodotta e si conserva perché possiede qualche
vantaggio su quelle con le quali entra in concorrenza. A questo stato di cose
fa seguito, quasi inevitabilmente, l’estinzione delle forme meno favorite.
Da “L’origine
della specie”, capitolo 10 – Successione geologica degli organismi viventi, di
Charles Darwin
Qualche
settimana fa mi è capitato di seguire una appassionata discussione fra due miei
amici, o sarebbe meglio dire due conoscenti. Signori di una certa età, con una
posizione sociale ben definita, padri di famiglia e persone del tutto
rispettabili. Uno dei due è un docente di Economia in un istituto d’istruzione
superiore, l’altro, poco più giovane, si occupa invece di assistere psicologicamente
le persone che sono ospitate nelle nostre case di pena, un’opportunità questa
che sembra la nostra società offra ai meno fortunati. Questi signori, dunque,
in apparenza non forniscono eccessivi spunti critici a chi li conosce in modo
non del tutto approfondito, in quanto, al di là delle modeste carenze caratteriali,
lacune di cui tutto il genere umano è afflitto, potrebbero essere considerati
come degli individui assolutamente normali. In realtà così non è perché i due
conoscenti serbano in sé una grave mancanza a livello comportamentale che li
potrebbe far inserire nella vasta categoria umana dei non equilibrati. Ebbene,
ero lì, distante da loro non più di un metro e non considerato affatto in
quanto la materia che disquisivano era talmente distante da me e sconosciuta a
me, da farmi apparire più come un oggetto urbano d’arredamento che una persona
in carne ed ossa. In realtà la discussione piena di passione verteva su oggetti
che qualsiasi individuo normale non avrebbe difficoltà a catalogare come cose
del tutto prive di particolari qualità, ma che invece ai loro occhi, agli occhi
di questi due soggetti, appaiono come un qualcosa d’ineguagliabile e incantevole.
Questi due signori sono dunque due collezionisti, due persone che spendono soldi
e parte della loro vita alla ricerca degli oggetti più svariati, unico loro
profondo desiderio, possedere ciò che hanno ma soprattutto bramare ciò che non
hanno. Ho saputo solo in seguito che moltissime altre persone soffrono di
questa assurda patologia, senza che questa tuttavia influisca troppo sul loro
comportamento sociale. Lo psicologo nel corso della discussione sembrava
spaziare a volo d’uccello su diversi campi, che potevano essere soldatini,
francobolli, particolari modellini di macchine, fumetti, oppure libri
illustrati da particolari e a loro conosciuti disegnatori; il professore di
economia invece era dotto soltanto in soldatini prodotti in una particolare
lega metallica e dipinti a mano, e libri di favole illustrati, conoscenza più
settoriale ma assai più approfondita. Sulle prime questo confronto mi era
apparso del tutto privo d’interesse, tanto che ero lì lì per salutarli e andare
via, poi però un particolare aspetto del loro comportamento mi ha così
incuriosito, per i risvolti psicologici che aveva, da soffermarmi un poco ad
ascoltare e analizzare. La cosa che più mi aveva colpito dei due era la
particolare passione con cui trattavano la materia, con competenza e
scrupolosità, attenti entrambi ai minimi particolari e attenti anche a superare
in maestria le competenze dell’interlocutore. La cosa che più mi intrigava in
quella che in realtà mi appariva come una vera e propria competizione, era il
particolare sentimento che era insito nel loro argomentare, ossia quel
sentimento del “possesso” che avrebbe dovuto infliggere all’orgoglio dell’altro
una sonora umiliazione. Fra i due si era stabilito, in un particolare momento,
un accesissimo scontro verbale dove l’uno tentava di superare l’altro in
oggetti posseduti e valore degli oggetti stessi. In realtà non sembrava che
fossero poi così importanti gli oggetti in sé, in fondo si parlava di soldatini
di metallo o libri illustrati, ma era il discorso dell’averli che dava alle
loro fisionomie un aspetto da autentici combattenti. La cosa che più era
evidente, oltre al desiderio sconfinato e morboso di possedere un dato
oggettino, era anche quello che gli oggettini da collezionare sono anche senza
limiti. Ossia, la cosa più eclatante del collezionismo è che, nella stragrande
maggioranza dei casi, non finisce mai, così come sono senza confini l’ambizione,
la cupidigia e la voglia di possedere sempre altri collezionabili. Dopo una
buona ora di accanito affrontarsi a volte con le fiamme negli occhi e l’impeto
nel cuore, i due non pericolosi malati di sindrome maniaco ossessiva-compulsiva,
si sono lasciati con una stretta di mano e un sorriso, sintomo vago di rispetto
reciproco, del tutto ignari che avevano dato uno spettacolo di loro assai
incisivo da un punto di vista dell’introspezione e senza neanche sospettare che
il loro svelarsi intimamente mi avrebbe fornito di materiale prezioso a
comprendere meglio le dinamiche nefaste che operano nella nostra disgraziata
società.
A discussione
finita e con i collezionisti oramai distanti da me, mi sono chiesto in un
momento di relativa calma, cosa poteva entrarci un’esperienza umana del genere
nel grande discorso delle nostre condizioni sociali, politiche ed economiche. Le
affinità non sembravano in prima analisi così evidenti da poter illuminare un
quadro, ahinoi, tanto oscuro; poi però un opportuno approfondimento e
un’adeguata analisi hanno evidenziato bene le varie analogie, e il quadro non è
più apparso ermetico e fosco.
La nostra
società occidentale, Europea in particolare, in questo momento è caratterizzata
da una serie di vicende che solo in apparenza sembrano assai complicate e
ricche di lati incomprensibili. In particolare la situazione economica sembra
voler sfuggire a tutte le analisi possibili e immaginabili. Persone competenti
e anche meno competenti, hanno rilevato che presi dieci illustri economisti, in
condizioni di esporre un parere sulla situazione, hanno espresso in particolare
dieci ipotesi e dieci analisi differenti. Ossia, questo dovrebbe significare
che le condizioni cui siamo costretti a vivere, secondo quanto emerso, sono
prodotte da cause che sono le più disparate e fantasiose, origini dunque che
non sono affatto chiare ma di cui se ne apprezzano bene le nefaste conseguenze.
In realtà di questi soggetti ci sarebbe ben poco da fidarsi, poiché il loro
fiancheggiare il Potere in certi casi è così sfacciato da raggiungere una vera
e propria adulazione. In altri casi invece il sistema di pensiero non lascia
particolari possibilità a chi si avvicina con scarsa onestà e obiettività alla
materia da analizzare. Sebbene questi squallidissimi soggetti sostengano in
sostanza un ventaglio di possibilità differenti, su una cosa sola sembrano
essere particolarmente d’accordo, ossia nel considerare il momento come un
momento di “crisi”. A essere onesti sembrerebbe proprio che da svariati anni
viviamo oramai in una specie d’incontrollato vortice economico e politico che
sfugge a ogni umana volontà di riconciliazione con l’assennatezza. Sembrerebbe
proprio che sulle nostre teste volteggi una specie di “destino” o meglio
sarebbe dire di “progetto divino” a cui è impossibile mettere mano e
soprattutto ordine. Le cose sembrano procedere come un treno lanciato a folle
velocità senza conducente verso un inevitabile cataclisma, esperti e mass media
non fanno altro che foraggiare questo clima di tragedia passata, presente e
futura. Tutti sembrano concordi nell’imputare a forze per lo più trascendentali
la situazione che ora stiamo vivendo. In verità, le cose sembrano proprio assai
differenti da quello che vogliono far apparire; in verità non viviamo nessun
momento di crisi; in verità colpevoli di questa condizione sono forze che hanno
un volto e che hanno ben poco di spirituale, anzi individui molto terra terra.
Non viviamo nessun momento di crisi perché le condizioni attuali sono state ben
ponderate e le conseguenze ben previste. Crisi è quando vari elementi in
contraddizione fra loro sfuggono infine al controllo, e in questo momento da
noi non c’è nessun elemento che sfugge al controllo. Viviamo in una società
capitalista e questo periodo storico non è poi tanto differente dai tanti
periodi storici che si sono succeduti nel corso della nostra storia, dove si
sono viste le forze del capitale passare da un periodo all’altro cercando di
mettere ordine a un caos creato in una precedente fase, utilizzando rimedi e
risorse capaci di ristabilire una continuità più o meno lunga, la quale avrebbe
generato nuovo caos e a sua volta un nuovo ordine. Questa particolare capacità di
adattamento alle varie situazioni e la capacità di risolvere particolari
momenti di difficoltà, da loro stessi creati, sono una delle specifiche
caratteristiche di questi individui che credono di gestire in modo naturale le
sorti del mondo. A essere onesti, questa attitudine a mutare e all’adattarsi al
mutare della situazione non è stata particolarmente alla base dell’esperienza collettivista,
poiché una delle cause dell’insuccesso è stata proprio il credersi arrivati a
uno stato di assoluta perfezione, tale da rendere impossibile e non auspicabile
qualsiasi elemento di novità. Il capitale invece crea contraddizioni e caos, ma
è sempre stato in condizioni di adattarsi alle mutate circostanze, proponendo
adeguate correzioni. Dunque, ripeto, la nostra fase non può essere definita
crisi, in quanto non ci sono ora elementi che sono sfuggiti alle possibilità
umane di condizionamento. La nostra situazione economica, politico, sociale è
condizione voluta, studiata bene a tavolino e applicata con invidiabile solerzia.
Dopo le varie fasi capitaliste, accumulazione, etica, colonialista/imperiale,
sociale di mercato, ora siamo nella particolare fase criminale/predatoria, non
avendo più questi individui geneticamente modificati nemici naturali, possono
dare sfogo a ogni loro delirante progetto. La nostra non è una crisi
strutturale, ma la conseguenza di una precisa scelta, scelta perfezionata seguendo
sconsideratamente e senza autocritica una particolare condizione psicologica, o
sarebbe meglio dire psicopatica, che è via via maturata rapidamente in questi
anni. I ricchi capitalisti/finanzieri hanno deciso di sfruttare, in un
particolare momento storico, un caso a loro favorevole, una condizione sociale
che loro stessi hanno perseguito e per cui hanno corrotto e combattuto. Verso
la fine degli anni -70 e l’inizio degli anni -80, superata la “grande paura”
del -68, la criminalità capitalista ha compreso che la fase Keynesiana che
assicurava un’adeguata protezione sociale, con ridistribuzione del reddito a
favore delle classi lavoratrici, non era più necessaria, poiché la sconfitta
del “lavoro”, l'alternativa collettivista, era già evidente in campo economico,
politico e sociale. John Maynard Keynes e il capitalismo occidentale di quell’epoca
avevano la necessità improcrastinabile di fermare le aspirazioni Socialiste e
Comuniste che andavano crescendo e consolidandosi in quell’epoca di
trasformazione profonde, ma una volta che queste aspirazioni hanno perso il
solido terreno rivoluzionario della possibile alternativa all’individualismo
capitalista, passare alla fase successiva del ritorno a uno sfruttamento
intensivo ed estensivo, a una nuova accumulazione di capitale e profitto, è
stato l’ovvio passo successivo. Il caso
favorevole, quindi, è la sconfitta dell’antagonista “lavoro”; in particolare della
“classe operaia” portatrice di un modo diverso di intendere la vita e i
rapporti sociali. La vittoria totale ha lasciato campo libero allo svilupparsi incontrollato
di una forma di ossessione, quella che in particolare nei “collezionisti”, che
abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, li fa collocare fra i malati
di “sindrome maniaco ossessiva-compulsiva”. Nella loro mente questi esseri
devianti desiderano possedere più ricchezze possibili, così come i
collezionisti desiderano avere, persuadendosi che questo sia avverabile, tutti
gli oggettini che fanno parte di un’ipotetica e infinita collezione. Questi
individui infermi hanno deciso quindi che era giunto il momento in cui
l’accumulazione di più ricchezze era una meta raggiungibile, da perseguire e
perseguibile, per soddisfare la loro sete morbosa di “collezionisti”. Al fine di
soddisfare questa particolare cupidigia, loro hanno messo in programma tre processi
da attuare con assoluta determinazione. Il primo processo, la disposizione suprema,
è quella di rubare tutti i soldi che è possibile rubare, mediante
l’appropriazione dei risparmi altrui e sottraendo sovrappiù di retribuzioni che
sono al di sopra della soglia minima di sussistenza del lavoro salariato e non;
secondo processo legato strettamente al primo è la riduzione in schiavitù delle
masse operaie, tale da cancellarle definitivamente dal libro della Storia e così
da raccogliere dal settore salari quell’ultra plusvalore impensabile in un
Paese che ha piena consapevolezza del Valore del lavoro; terzo e ultimo
processo, sempre strettamente legato ai primi due, è lo smantellamento completo
dello Stato Sociale, cioè di tutti quei servizi e garanzie che un Paese civile
dovrebbe avere per non rischiare di sprofondare nella barbarie. Questi tre
percorsi dunque, solo alla base della nostra attuale situazione. Inutile dire
che la classe politica in questo momento è particolarmente asservita a questo
disegno criminale, e che la loro funzione nel disegno generale è di canaglia che
svolge il lavoro sporco, mediante tassazione, smantellamento del sistema
parlamentare e delle protezioni sociali; in particolare nel nostro Paese si
sono succedute dal novembre del 2011 le peggiori delinquenze della storia della
Repubblica, gentaglia che ha instaurato un vero e proprio regime dittatoriale,
dove ogni voce di dissidenza e di democrazia rappresentativa è stata annullata
o mortalmente emarginata.
Anche questa
fase storica sembra confermare dunque l’ipotesi prima del buon Darwin, ipotesi
che destina la vita a chi ha maggiori doti di sopravvivenza rispetto alle altre
specie, e la morte a chi queste caratteristiche non le ha. Se la teoria è
perciò fondata, possiamo dire con certezza che l’individualismo più cieco e
becero è la caratteristica che premia chi del vivere ha una certa idea, mentre
il collettivismo è quella condizione d’inferiorità che svantaggia alla lunga
chi del vivere ha un’altra idea. Non sembra che allo stato delle cose ci siano
altre possibilità d’interpretazione della contingenza
economico/politico/sociale, sembra proprio che favoriti nella vita siano quelli
che noi, in condizione d'inferiorità, consideriamo degenerati. Alla fine di
questi inevitabili processi, rimarrà una ristrettissima cerchia di ricchissimi
capitalisti/finanzieri, in pratica una ristrettissima cerchia di ricchi, con attorno
un’aristocrazia di servi ben pagati e intorno ancora una sconfinata massa di
miserabili, condizione questa già ipotizzata da intellettuali mille volte più
grandi di noi; solo che alcuni di loro ipotizzavano un’inevitabile presa di
coscienza delle masse indigenti, presa di coscienza che in realtà non avverrà
mai, perché questo sembra essere nell’ordine naturale delle cose. Alternative
reali non ce ne sono. Darwin parla di “estinzioni”, di “più favoriti e meno
favoriti”, dunque prende come dato reale che il competitore più favorito resti
in vita, il meno favorito scompaia. Per avere in linea squisitamente teorica
un’altra possibilità, bisognerebbe non fare più riferimento alla realtà ma fare
capolino nel meraviglioso campo dell’Utopia, e cercare un orientamento dalle
esperienze storiche che si sono succedute nel corso dei secoli. Per cambiare la
situazione bisognerebbe reinterpretare le ipotetiche leggi della vita e quello
che risulta essere meno favorito si dovrebbe trasformare in quello più
favorito, e se dunque il risultato ultimo è la scomparsa di uno dei
competitori, il favorire questo processo non può che essere in sintonia con
l’esistenza. In parole assai disadorne, i poveri dovrebbero cancellare dalla
faccia della terra i ricchi, anche perché i ricchi potrebbero essere un cancro
sociale momentaneamente trionfante, ma il cancro come malattia sembra andare
contro ogni logica, poiché uccidendo il corpo ospitante uccide anche se stesso.
10 ottobre 2014
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