Frequento dal 1978 una famosa via
che si trova nei pressi del centro della città dove vivo. È una via che ha una
lunga tradizione, già fonte d’ispirazione narrativa. Molte vite sono passate su
quei marciapiedi ornati da alberi centenari. Sebbene non siano trascorsi dei
secoli da quando ho iniziato a frequentarla, trentasei anni sono senz’altro un tempo
sufficiente a far intravvedere una certa differenza di organizzazione, soprattutto
commerciale. I locali che si aprono sulla strada sono sempre gli stessi,
sebbene oggi offrano prodotti diversi da quelli esposti anni fa. Una volta si preferivano
attività a indirizzo alimentare, c’era il negozio di carni, quello di pane e
pasta, di vini e oli, una variopinta atomizzazione che è stata adesso raccolta in
un unico grande organismo, anzi, in svariati altri supermercati in spietata concorrenza
fra loro. Nonostante quasi la totalità dei negozi abbia cambiato genere, alcuni
esercizi, almeno quelli che si affacciano su quel limitato tratto di strada a
me visibile e conosciuto, sono rimasti testardamente gli stessi, sebbene con
varie ristrutturazioni e accomodamenti. Sono senza dubbio pochi i sopravvissuti,
più che altro esercizi gestiti a livello familiare, e strano a dirsi hanno subìto
tutti delle difficili avversità che hanno turbato molto il loro equilibrio. Ce
n’è uno ad esempio che ha sofferto la morte per overdose di due figli e a un
altro, unico sopravvissuto, non interessa l’impresa; un altro pochi isolati più
avanti non ha più eredi poiché l’unico figlio è anche lui morto di una morte
assai “borghese”. Quello che in particolare ha però colpito la mia curiosità e
ha fornito materiale umano sufficiente da mettere in comparazione con il tema
dell’articolo che vado ora scrivendo, è un classico esempio di come un’attività
possa tramandarsi di padre in figlio e come questo comporti il fatto che almeno
uno dei vari componenti il nucleo familiare resti ben vivo e abbia interesse e
passione a raccogliere l’eredità. Ossia, tenendo in considerazione questa
particolare esperienza, la fortuna accumulata da un nonno è stata ben amministrata
poi da un padre e da questo padre passata infine, ora, a un figlio/nipote. Questa
non è una situazione frequente, le statistiche dicono che solo meno di un 20%
delle fortune costruite da un nonno restano tali a un nipote, questo vuol dire
che per continuare a progredire o mantenere ciò che si è costruito, le
caratteristiche umane di nonno, padre e nipote devono essere pressappoco le
stesse. Il pallino del profitto e del commercio deve passare dall’uno all’altro
rimanendo intatto nelle sue manifestazioni particolari. Questo discorso per
dire che le fortune accumulate e non sostenute da un’adeguata cultura
familiare, tendono a creare una tipica mentalità decadente nei legittimi eredi,
che li trascina inevitabilmente a essere inidonei e perdenti. Questo negozio
preso a modello invece no, commerciante valido era il nonno, valido era il
figlio del nonno, valido è il nipote del nonno. Sebbene nonno e figlio del
nonno siano stati colpiti entrambi da infarto fra le mura lavorative, questo
inquietante fattore non ha impedito al nipote di raccoglierne eredità e rischi.
Mi sembra evidente a questo punto che si può senza dubbio parlare di “selezione
naturale”, anche in campo sociale possiamo prendere a prestito questa discussa
teoria per vedere di capire il micro ma anche il macro della società in cui
viviamo.
Partendo dalla classe politica
che è uscita dal dopoguerra, possiamo affermare che questa era caratterizzata
da ideologie politiche contrapposte, e questa contrapposizione aggregava in
modo tale gli elementi dell’uno e l’altro schieramento da assimilarne
comportamenti o vizi. Ognuno nel suo schieramento faceva bene il proprio lavoro
e non si può certo negare che all’inizio del percorso era l’ideale il
fondamento che caratterizzava queste vecchie classi politiche. Nonostante ciò,
con il trascorrere degli anni la tendenza alla corruzione dei singoli ha fatto
in modo che un’intera generazione frammentasse la coesione in elementi che
erano disponibili a lasciarsi corrompere, i più, per i più svariati motivi, ed elementi
che non si sono sentiti disponibili a questo tipo di cammino, i meno. Ho la
terribile sensazione che lo iato fra interesse personale e interesse
collettivo, in alcuni soggetti non sorretti da un granitico e inattaccabile
complesso di codici morali di comportamento, sia così flebile da ammettere che
l’uno possa essere confuso facilmente con l’altro, o addirittura ritenere che
il primo sia assai più legittimo del secondo. Una delle più grandi stupidaggini
che la materia “economia” abbia mai potuto partorire è l’ipotesi che “un
negoziante facendo i propri interessi fa gli interessi della collettività”,
questa mostruosità teoretica esula comunque dal nostro discorso, in quanto nel
particolare caso ci troviamo alle prese con le leggi, meglio con la morale e
non proprio con l’economia, essendo quest’ultima mezzo e non fine. Alla base
del tutto c’è la corruzione del denaro, alcuni individui sono molto permeabili
a questa dissolutezza, altri invece a costo di grandi tormenti riescono a tener
fede agli impegni presi, un tener fede avvertito come una vera e propria nobilissima
virtù. La corruzione, il guastarsi, il degenerare è un male che colpisce
uniformante l’intera umanità, tuttavia ci sono Nazioni che subiscono in modo
minore questo male, Nazioni invece che ne sono contagiate in modo assoluto.
Difficile elencare i motivi che hanno a che fare con questo dato oggettivo,
certo importante è la Storia dei popoli, l’educazione ricevuta, la disposizione
culturale a ritenersi comunità e non individui, ma per quello che ho potuto
capire, certo sono importanti queste condizioni ma il peso che fa pendere la
bilancia verso “l’incorruttibilità” è la fermezza dei codici morali vigenti in un
particolare luogo e periodo. Se la disposizione naturale dell’animo tendente a
soddisfare il proprio immediato piacere, la voluttà, è annullata dalla vergogna
e dal disprezzo provato, anche dall’ambiente intorno, allora la corruzione
diventa difficile; se non si hanno questi codici morali e l’ambiente intorno
non ha la spinta a disprezzare il corrotto, allora tutto diventa più facile. Da
noi la situazione è piuttosto tragica, perché viviamo in un ambiente a “morale
rovesciata”; da noi si ammira e si stima chi è più corrotto e depravato, si
disprezza e si biasima chi si comporta in modo corretto e onesto. Il primo è
ritenuto un furbo, il secondo un fesso. In sostanza, la mia idea è che a
livello di politici che gestiscono il Potere parlamentare o governativo, è
assai frequente, se non addirittura totalizzante, la massa di quelli che
preferiscono arricchirsi e lucrare a spese della collettività, che non quelli
che questa prassi la evitano. Quelli che possiamo senza dubbio definire
“onesti”, non si adattano al comportamento generale, sono come dei cubi che
dovrebbero vivere in un ambiente sferico, in un ambiente sferico sembra
evidente che possono vivere solo elementi sferici. Insomma, la classe politica
uscita dal dopoguerra si è beneducata, per mezzo di una potente “selezione naturale”,
a rubare e a sottrarre denaro pubblico; l’ideale è rapidamente defunto e la forma
mentis si è velocemente trasformata, fino ad assumere caratteristiche tali da
far gestire il bene pubblico con una mentalità privata. Se per la generazione
uscita dalla guerra è stata una scelta precisa, libero arbitrio, tradire la
loro stessa ideologia ed emarginare così i poco adatti, gli integri, questo non
si può dire della generazione che ha sostituito questi vecchi ladri con caduca struttura
ideologica. La generazione che per mezzo dei famosi eventi, “Caduta del muro di
Berlino” anno 1989 e Tangentopoli” anno 1992, ha occupato il posto
della vecchia generazione era già in embrione “geneticamente ladra”,
trascurabile la scelta, assente il libero arbitrio, proprio perché spoglia di
grandi ideali e di grandi morali. La trasformazione dell’Est europeo ha creato
spazi nuovi, una situazione tale da far perdere quelle coperture indispensabili
che avevano permesso ai “vecchi ladri” la rapina sistematica del bene pubblico.
Per spiegare con poco i rapporti realizzati, in sostanza è come se un ricco
cittadino preoccupato della propria incolumità, credesse opportuno dotarsi di
“guardia del corpo”, evidente che diventerebbe del tutto inutile spendere soldi
per una persona che ti protegge se di pericoli con ce ne fossero. In pratica,
la vecchia generazione di ladri ex ideologizzati, venendo a mancare il “nemico”
ha perso il suo ruolo, la copertura protettiva internazionale è diventata
superflua, ed è rimasta così esposta agli attacchi della nuova e prorompente
generazione di ladri. Il discorso terra terra è più o meno questo: diventava
possibile togliere via da posizioni importanti individui ora indifesi, grassi
d’oro altrui e irrimediabilmente corrotti, per mettere al loro posto altri
individui ben disposti alla corruzione e ancora magri d’oro altrui. Ovvio che
l’emarginazione e l’annichilimento e la ridicolizzazione dei pochi
“incorruttibili” fa parte sempre di quella selezione naturale di cui parlavamo
prima in altri ambiti. Come per il negozio di quella famiglia di commercianti
si è trovato fra gli eredi un elemento adeguato e con caratteristiche adatte allo
scopo, anche in campo politico si sono selezionati elementi che avrebbero
continuato con azioni conseguenti ad agire come i predecessori. Per quanto
riguarda il “centro partitico” prima degli anni novanta, il ruolo di agenti
anticomunisti legittimava questi soggetti al furto, proprio come durante le
crociate la fede legittimava le peggiori nefandezze. I comportamenti erano differenti
per quanto riguarda la “sinistra partitica”, lì ruberie e appropriazioni
indebite non erano la regola, ma erano purissimi “incidenti di percorso”, in
quanto la sottostante ancora ferrea struttura ideologica, con conseguente
bagaglio morale, impediva almeno alla stragrande maggioranza di operare in
senso amorale. Le cose sono cambiate radicalmente quando è entrato in crisi il
Blocco dell’Est, da questo punto tutto è stato più facile. L’area della “sinistra
partitica”, il Partito Comunista, era già pieno di elementi “non comunisti”, individui
che negli altri partiti avevano trovato gli spazi chiusi per arrampicamenti
sociali e carrierismo, si sono trovati a dover scegliere per forza di cose un
percorso che credevano non adatto a loro. Questi soggetti con orizzonte
manchevole hanno infettato e distrutto alla base i codici morali e i
comportamenti appropriati dei “vecchi comunisti”, li hanno intossicati in modo
tale da prendersi l’onere e il disonore di trasformare in modo perverso antiche
tenaci consuetudini. Questi soggetti presa per alibi la fine dell’esperienza
Sovietica, hanno ritenuto vantaggioso deviare sulla via più adeguata alla loro
natura. Profittando dello smarrimento provocato dal Crollo, e dal turbamento
causato dal ritenere inutile proseguire la lotta, questi soggetti hanno
avvelenato l’antica dignità, l’antica lucidità d’analisi, l’antica rettitudine,
dando luogo all’abbraccio con le abitudini dei loro ex nemici. Arricchirsi a
spese della comunità era diventato a questo punto del tutto lecito per l’intero
arco costituzionale. La spartizione in sfere d’influenza degli appalti pubblici
diventava prassi consolidata. Da una parte lo scandalo di Tangentopoli arriva
quando viene a mancare la copertura internazionale anticomunista, e si
intravede la possibilità per mezzo della magistratura di iniziare la
sostituzione della vecchia classe politica. I vecchi grassi anticomunisti gonfi
di soldi e di veleni, si vedono tolta la poltrona da sotto il sedere da
“giovani” avidi e ambiziosi. Dall’altra invece i vecchi Comunisti sono estraniati
dalla gestione, approfittando del disorientamento collettivo si indica come
unica possibile la via del tradimento, dell’abbandono e della resa. Una volta avvenuta
la sostituzione, non senza conseguenze, questi signori, dunque, dai primi anni
novanta hanno provveduto disinvoltamente a spartire e a dividersi appalti,
commesse pubbliche e ruberie varie, ingrassando loro e le clientele che li
hanno sempre sostenuti. Questi signori, dai primi anni novanta fino ai nostri
giorni, hanno continuato senza timore alcuno a depredare la cosa pubblica, fino
alle estreme conseguenze che ora stiamo amaramente scontando sulla nostra
pelle.
Ai nostri giorni ci troviamo di
fronte a questa curiosa situazione, ossia, quelli che ventidue anni fa erano la
nuova generazione che si apprestava vigorosa e potente al controllo dello Stato,
o meglio dire a depredare lo Stato, ora sono diventati i “vecchi grassi
corrotti” che hanno loro stessi a suo tempo scalzato. Nuove generazioni di
ladri premono per occupare il loro posto, e come tanti anni fa sono questi
talmente famelici, arroganti e presuntuosi da non considerare per niente
vincoli di ordine legale o morale o ideologico. Forti dei crimini commessi
prima dai loro “nonni”, poi dai loro “padri” non si fanno scrupolo alcuno a
rivendicare il loro diritto alla rapina e all’estorsione. Forti delle leggi
approvate dai loro predecessori atte a depenalizzare qualunque ruberia
pubblica, questi soggetti non avvertono neppure i velati “sensi di colpa” che
hanno afflitto in parte le precedenti classi politiche. Vogliono gonfiarsi
d’oro e a questo tendono con tutte le loro forze. Sono di questi giorni le
notizie che fanno intuire come il modo di comportarsi tenda a imitare gli
stessi sistemi attuati in passato da quelli che intendono scalzare. Denunciare
per mezzo della magistratura alcune, e solo alcune, clamorose ruberie, è il
segnale che si dà a tutti gli altri di farsi da parte in fretta, poiché i tempi
sono di nuovo cambiati: vecchia Tangentopoli, nuova Tangentopoli, i “vecchi
ladri” sono stati avvertiti.
Come ho tentato di chiarire, c’è
quindi una chiara continuità fra vecchio, meno vecchio e nuovo. La situazione
ambientale favorisce il progredire di determinati individui, la maggioranza, emarginando
soggetti che non si adattano o adeguano alla situazione, la minoranza. C’è una
continuità di comportamenti che fanno pensare di trovarci alle prese con una
vera e propria “razza ladra” che con mezzi legittimi o meno si fa strada e
occupa posizione che possano permettere l’esprimersi al massimo delle loro
potenzialità criminali. Forse non è termine adeguato parlare di “razza” perché questa
sembra non essere sufficiente o appropriata a classificare una massa di
individui tendenti tutti a un medesimo fine; forse sarebbe più opportuno
parlare di caratteristiche genetiche, altrimenti di tare ereditarie, oppure di
disposizione a delinquere, o in alternativa usare il termine assai abusato di
“casta ladra”, tuttavia, per il semplice parlare e farsi capire, “razza ladra” mi
sembra del tutto adatto a quello che intendo esprimere. Non è questo il luogo
per affrontare il discorso vasto e complicato della “giustezza” o meno della
tensione ad approfittarsi così biecamente e cinicamente del prossimo, non è
questa la sede per speculare se la vita sia corruzione e rapina e crudeltà e
caos, o se questa debba naturalmente tendere alla felicità e al bene
collettivo; non è questa la sede per indagare se la Natura sia essenzialmente
“cattiva” o se la cattiveria sia solo un’umana percezione. Non so neanche se,
come dice curiosamente qualcuno, la tensione di alcuni individui al bene sia la
prova dell’esistenza di Dio, sono portato a pensare che questi signori non
abbiano ben riflettuto sul concetto di “bene e di male”, cosa sia l’uno e cosa
sia l’altro, e che tendano umanamente a consolarsi con le grame cose che hanno
a disposizione. A volte credo che la “razza ladra” sia in perfetta sintonia con
quello che si ritiene essere la vita, a volte penso che i “giusti e i sani”,
ora annichiliti o lobotomizzati o narcotizzati, oppure semplicemente
rassegnati, debbano diventare finalmente ultracattivi per prevalere e vincere
sui delinquenti. Una gran confusione di idee e sensazioni che spesso si trovano
in conflitto fra loro e generano inevitabili contraddizioni. Unico punto certo
in tutto questo “povero analizzare e filosofare” è che io, come pochi altri
come me, individui emarginati, non sarebbero mai capaci di agire come la
diffusa comune malvivenza politica agisce e opera. Questo è l’unico punto fermo
e indiscutibile che mi permette qui, in questa sede, di giudicare e condannare chi
ritengo giudicabile e condannabile, giudizio e condanna operate di chi, come
noi, ha la piena consapevolezza del divenire e dei tanti mali dell’uomo.
7 giugno 2014
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