“Non ti serviranno a niente qui i
tuoi studi, ragazzo! Mica sei venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che
ti ordinano di eseguire… Non abbiamo bisogno di creativi nella nostra fabbrica.
È di scimpanzé che abbiamo bisogno… Ancora un consiglio. Non parlare mai più
della tua intelligenza! Penseremo noi per te amico! Tienilo per detto!”
L’amor proprio sta sul ponte
della domenica, un po’ brillo per giunta. Dopo un’intera giornata di libertà
alcolica, ecco che gli schiavi si agitano un po’, è una fatica a farli star
bravi, annusano, sbuffano e fanno tinnire le loro catene.
Da “Viaggio al termine della
notte” di Celiné
Da quando con la mia compagna
abbiamo avuto la possibilità di decidere con chi avremmo voluto trascorrere la
vita, nella nostra casa ci sono sempre stati dei gatti. Sono passati tanti anni
e ai primi due che ci hanno lasciato, sono seguiti degli altri, che ci hanno
anch’essi lasciato, seguiti da altri. La loro vita è più breve della nostra, e
il separarsi è fonte di grandissimo dolore. Tuttavia, sebbene ora alcuni di
loro non ci siano più, continuiamo ad amarli, così come soggetti d’amore sono
le due creature che ora dividono questo periodo senile della nostra esistenza.
I gatti, chi li conosce, saprà che sono degli animali straordinari, con forti
caratteristiche caratteriali che li rendono unici nel panorama degli animali da
compagnia. Non sono capaci di grandi dimostrazioni d’affetto esteriori, come i
cani ad esempio, ma sanno a modo loro esprimere l’affetto che nutrono per te,
continuando a mantenere inalterato il loro congenito e irrinunciabile massimo
autocontrollo. Un temperamento colmo d’amor proprio e di dignità. Tuttavia,
accanto a questi amabili elementi distintivi ci sono aspetti che li rendono
piuttosto inquietanti. Nonostante l’addomesticamento, restano pur sempre
nell’animo degli animali selvaggi, predatori, e tutto di loro, indole e
corporatura, la Natura l’ha strutturato in funzione della caccia. Chi li a
visti in azione, avrà potuto valutare la tenacia, l’impegno e la rapidità del
loro agire. Chi possiede gatti in casa sa bene che nessun animaletto potrà mai
avere la possibilità di restare vivo nello spazio da loro occupato, a meno che
non riesca a nascondersi o a fuggire. Senza dubbio c’è una certa ferocia e
crudeltà nei loro gesti. Straziano la preda dopo averla tormentata a lungo. Non
è certo un bel vedere. Ma questo è nella logica delle cose. La Natura ha
previsto predatori e prede e il ruolo dell’uno e dell’altro non è discutibile,
a meno che non si decida di negare la vita. Dunque, quando vediamo un predatore
cacciare, il sentimento provocato dalla scena non può essere quello
dell’indignazione, poiché questo sentimento per sua natura presuppone che ci
sia una forma diversa di comportamento, corrispondente a un’idea che abbiamo,
modello che non corrisponde però alla realtà, realtà che non può essere
negatrice della vita. Possiamo perciò inorridire, raccapricciarci, ma non
possiamo restare indignati, perché il predatore non può essere diverso da
quello che è. Non ci sono modi di comportamento che possano contribuire in modo
diverso alla sopravvivenza per i carnivori, non c’è la scelta fra una condotta
meno crudele e una più crudele, o è così o non è.
Altro piccolo esempio.
Se d’improvviso le nostre rose
coltivate con cura e amore sono infestate dai parassiti, non possiamo
indignarci con i parassiti, perché essi non possono essere diversi da quello
che sono. A questo punto abbiamo, pertanto, due possibilità: veder morire la
pianta di rose amorevolmente curata, oppure procedere a una radicale
disinfestazione. Parlare con i parassiti e pretendere da loro un diverso
comportamento non si può, perderebbero la loro natura ed entrerebbero così in
contraddizione mortale con le leggi della vita.
Ulteriore breve avvenimento
attinente alla riflessione.
Considerata l’inquietante
frequenza con cui nelle nostre disgraziate città ciò avviene, sicuramente tutti
vi sarete trovati alle prese con un comune “litigio per futili motivi”. Accade
spesso, così spesso che anche noi, nelle intenzioni persone abbastanza tranquille,
a volte ci troviamo nell’impossibilità di trattenere alcuni istinti. Per
fortuna che il crescere ci pone al riparo da queste deplorevoli manifestazioni,
ossia, il diventare “grandi” ci porta a estraniarci un po’ dalla comune
umanità, almeno questo avviene in una percentuale limitata d’umanità, non in
tutta l’umanità. Giorni fa passeggiavo senza meta per le vie della città,
rilassato, come può esserlo un cittadino consapevole degli angoscianti problemi
che ci minacciano, quando d’improvviso, fra i soliti assordanti rumori del
traffico, ho avvertito chiaro verso la mia destra, dall’altra parte del
marciapiede, delle voci alterate dall’ira; delle grida violente e delle parole
tanto esplicite e chiare che difficilmente chi le pronunciava e chi le riceveva
poteva non esser al corrente del loro senso. Non avrei voluto ascoltarle, erano
dall’altra parte della strada. Due automobilisti che si erano fermati nei
pressi di un parcheggio, senza occuparlo né l’uno né l’altro, si stavano
contendendo il ritenuto diritto negato. Talmente frequente l’episodio, direi
classico nelle forme, che stavo quasi per andare via senza interesse alcuno,
quando, non so proprio per quale motivo, ho pensato di fermarmi per un istante
a seguire l’alterco. Per fortuna, sebbene prossimi, i due non sono venuti alle
mani, ma le “botte a parole” che si stavano dando erano talmente feroci da
trasformare i lineamenti dei loro volti e imprimere ai loro corpi una dinamica
da animali in lotta. Lividi di rabbia ognuno rivendicava il suo diritto a
occupare il posto libero. Uno diceva di essere arrivato prima, l’altro
affermava di averlo visto prima, e in questa rissa verbale nessuno sembrava
disposto a cedere. Dopo qualche istante di spettacolo, non ero più interessato
alle loro parole, quanto piuttosto alle loro espressioni e al tipo di
sentimenti che in quel momento avrebbero potuto albergare nei loro cuori.
Indubbio che il fattore scatenante fosse di una banalità imbarazzante,
tuttavia, cosa curiosa, l’evidente piccineria del caso era inversamente
proporzionale alle passioni negative generate. Ero davanti a una tipica
manifestazione da primati, manifestazione che mi riportava alla mente le parole
di Nietzsche, che invitano a tenere nella massima considerazione il cervello
animale, quello che si è sviluppato nell’arco di tantissimi secoli, e che ci ha
consentito di sopravvivere, e contemporaneamente dare il giusto minore valore
al velo di cinque millimetri che racchiude il resto del cervello, velo di
cinque millimetri che contiene tutta la nostra “ragione”. In realtà, quindi, i
due antagonisti stavano dando rappresentazione a una colorita scenetta, dove i
sentimenti messi in ballo erano del tutto inadeguati alla reale grandezza del
problema. Per meglio dire, la rabbia e la violenza, l’energia sprecata, in sostanza,
erano davvero sproporzionate alla banalità del problema, di per sé talmente
insignificante, che presi dalla foga non si erano accorti che pochi metri più
in là si erano liberati addirittura due posti e che l’aver dato fondo a tanta
bile, ora, alla luce degli andamenti del traffico, appariva molto ridicolo.
Tuttavia, dopo tanto offendersi e rovinarsi la giornata, i due si erano
calmati, le persone curiose che si erano radunate intorno, parteggiando per
l’uno o per l’altro, se ne erano andate e tutta la strada era ritornata
all’abituale caos. Anch’io me ne sono andato, ho ripreso il mio passeggiare non
senza riflettere sull’accaduto. La mente non mi sollecitava però a considerare
ulteriormente il particolare avvenimento da strada in cui ero incorso,
piuttosto, mi spronava a valutare meglio la disarmonia che si rileva fra
situazione e reazione. In ambiti diversi ritenevo che i sentimenti che mostrano
i nostri concittadini nei confronti delle situazioni sociali e politiche, spesso
sono del tutto inadeguati alla realtà.
È da qualche tempo ormai che su
qualsiasi organo d’informazione, i mass media, ci sia la tendenza a cogliere
fra la gente un presunto sentimento che, secondo loro, dovrebbe risiedere in
molte anime: l’indignazione. Questa particolare reazione emotiva, dovrebbe
essere scatenata dall’apprendere dei vari scandali e ruberie di cui è
ricchissimo il nostro Paese, scandali e ruberie operate con metodo e frequenza un
po’ ovunque da pubblici amministratori. Di fronte alle appropriazioni di denaro
pubblico che la dirigenza crede opportuno compiere, i mezzi d’informazione ritengono
dunque di intravvedere nel corpo sociale un diffuso disagio. Ora, pur ritenendo
questo vero, la consapevolezza del reato dovrebbe sfociare in qualcosa di più
concreto che non un banale brontolio. La storiellina dell’illecito e della
reazione emotiva fa acqua da tutte le parti, perché nasce da una cattiva
analisi della realtà e da un’imprecisa conoscenza delle emozioni. In realtà le
varie ruberie di denaro pubblico non sono l’eccezione, ma sono la regola,
ossia, si diventa amministratori per rubare e per depredare, come i “gatti”,
nel racconto precedente, sono per loro natura feroci predatori. Il sentimento
dell’indignazione sarebbe appropriato se nascesse dal prendere atto che in una
condizione di diffusissima onestà qualcuno ha sbagliato; ma qui non c’è una
virtù violata, c’è il furto come regola, un normale svolgersi delle cose. A
menzogna poi si aggiunge menzogna quando, nello sforzo di dimostrare che il
Sistema possiede anticorpi adeguati a rendere l’illecito rarità, si enfatizza
un “avviso di reato”, una “apertura d’inchiesta”, senza rilevare che già si è
provveduto con leggi appropriate a sterilizzare, a minimizzare la pena
conseguente. Però, questo non è che un parziale aspetto del divenire, un
particolare. Un fattore minimo e consequenziale.
La nostra “democrazia” è soltanto
un raffinatissimo sistema d’inganni, una necessaria astuzia conveniente al
controllo sociale, una prassi che si avvale dell’illusione della
“partecipazione” per corrompere le masse. Fino a qualche anno fa, il Potere,
tramite abili strutture e l’intermediazione delle “elite politiche” era
riuscito a gestire il sistema statale; oggi, queste “abili strutture” non sono
più idonee ad essere l’albero di trasmissione di decisioni e voleri superiori,
assistiamo quindi al collassare di alcuni meccanismi di controllo. Il
parlamento come lo abbiamo conosciuto, a elezione diretta dei “rappresentanti
del popolo”, non era più in condizioni di mettere in atto puntualmente ordini elaborati
dalle continue, rapide necessità del capitale e della finanza internazionale. Non
ritenendo più adeguato avvalersi di litigiosi e non sicuri rappresentanti
parlamentari eletti direttamente, e quindi di più difficile controllo, hanno creato
un sistema più diretto, rappresentanti scelti da loro stessi che hanno
delegittimato, in sostanza, un’istituzione che in passato è servita a certi
scopi. Non è stato solo questo fattore “tecnico” a far maturare la decisione di
non avvalersi più di un sistema parlamentare collaudato, c’è stato anche il
fattore decisivo della fine della paura del “comunismo” e della “classe
operaia” a spronare finanza e capitale a liberarsi d’inutili fardelli. Investire
fiumi di denaro propri in rappresentanze politiche e servizi sociali per
impedire l’emergere di un sistema politico diverso non è più necessario. La
“classe operaia” è stata riportata alla condizione schiavile, con la globalizzazione,
lo spostamento di masse umane e il ricatto della disoccupazione; la lotta
vittoriosa contro il lavoro ha ridotto quest’ultimo a chiedere “occupazione”
invece che “potere”, è stato ridotto alla vergogna del nascondersi nelle
miniere o rifugiarsi sui tetti dei palazzi, invece di combattere a viso aperto
nelle strade. La vittoria internazionale del capitale e della finanza ha spinto
queste a non avvalersi più di istituti che avevano un senso quando le posizioni
erano definite e il nemico certo. Ora apertamente dettano linee di
comportamento a cui i vari soggetti politici e sociali e statali devono adeguarsi.
Grande disegno strategico è l’appropriazione di tutte le risorse che sono in
mano, ancora, alle varie realtà nazionali, ossia, la dinamica è quella classica
dello “strozzinaggio” e del “furto”: prestare i soldi con la prospettiva che il
debitore non possa più restituire il dovuto, così da appropriarsi dei suoi beni.
Le grandi organizzazioni internazionali finanziarie, coadiuvati dalla loro manodopera
politica, hanno deciso di appropriarsi dei beni dei Popoli e dei Paesi, di
rubare tutto quello che c’è da rubare, e più nessuno, nessuna “classe sociale”
o “ideologia”, è più in condizioni di opporsi a questo disegno. Il sistema
parlamentare è ridotto quindi a una farsa, dove politici/attori recitano con
professionalità encomiabile la loro parte, sontuosamente retribuiti con denaro
pubblico rubato.
I parlamentari non sono più scelti
dai cittadini, ma direttamente dal Potere stesso, tutto in previsione di
esautorare presto, con programmi a scadenze precise, un’istituzione senza più
significato. Le classi lavoratrici sono state svuotate della vocazione a essere
artefici del divenire sociale. Negli individui è venuta meno non la
consapevolezza, ancora al di là del manifestarsi, ma addirittura l’aspirazione
alla consapevolezza. Gli economisti si affannano ancora a interpretare i
processi economici facendo ricorso a teorie “classiche”, a considerarli come
dinamiche sociali incolpevoli, quando in realtà l’intera economia mondiale
andrebbe valutata e trattata come materia criminale; gli stessi rapporti
economici con il fattore lavoro andrebbero trattati nell’ambito del crimine. I
prodotti sfornati dall’industria sono sempre più una truffa. I manufatti contengono
già in sé il germe del “guasto”, prodotti industriali a scadenza forniti di
“chip di morte” per creare rotazioni di prodotto sempre più rapidi, in un
delirio di produzione e consumo e profitto. Il Potere mondiale non ha più
condizionamenti, né morali né materiali, né paure, la sua natura di “creatura geneticamente
deviata” non è in condizioni di prendere consapevole della devastazione del
mondo. La devianza genetica del capitale e della finanza spinge questi
individui guasti a ritenersi vittoriosi sulle genti, addirittura sullo “spirito”
delle genti, a ritenersi vittoriosa sulla Natura, accentuando quindi l’esasperata
propensione alla rapina, allo sfruttamento e al crimine. Questa è dunque la
situazione del Paese e del mondo sotto la perversa dittatura del capitale e
della finanza, un deserto culturale, umano, politico e sociale, a cui non
sembra esserci nessuna possibilità di opporsi. Chi dovrebbe opporsi è intimante
morto nella sua essenza vitale, sparito dalla Società e dalla Storia. La
vittoria è stata in questo caso totale, definitiva e irreversibile. Tornando
all’indignazione accennata all’inizio, la mostruosità del quotidiano e delle
prospettive future, rendono quindi del tutto inadeguato questo sentimento, che
anche qualora davvero ci fosse, sarebbe del tutto inutile, troppo mite, troppo
poco incisivo davanti a una simile realtà. Il Potere odierno, la sua crudeltà e
il suo smisurato, incontrollato e devastante egoismo avrebbe bisogno di
sentimenti ben al di là del semplice patetico lamento di reazione, sarebbero
necessari sentimenti che portassero a reazioni prima di autodifesa e poi di
offesa, necessari a ristabilire quelle che sono le corrette regole di vita,
regole che tengano conto delle necessità comuni, del tutto, e non solo delle
degeneri ossessioni di pochi individui malati. Sarebbero necessari ben altri
sentimenti per salvare l’umanità e il mondo, ma in questo momento sembrano
assenti. Tuttavia, sebbene quell’umanità che abbiamo sognato e a cui abbiamo
rivolto lotte, studi e pensieri, appare definitivamente e irreversibilmente
morta, sepolta da un mare di demenza distruttiva, il mondo, il mondo no, non è
morto, e anche le peggiori devianze non sono in condizioni di ucciderlo. Il
mondo non morirà per mano “loro”; giunto al punto di totale intollerabilità, il
mondo non farà sconti a nessuno, e a quel punto spazzerà via dalla faccia della
terra la negativa esperienza umana, così come un tempo fece con i dinosauri.
Questo non sarà poi un gran male, sebbene nel furore catartico periranno giusti
e ingiusti, consapevoli e inconsapevoli, colpevoli e incolpevoli, uomini e
oltreuomini, i buoni e i cattivi, senza nessuna possibilità di distinzione e di
scampo.
2 novembre 2013
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