Forse un giorno, quando
ero giovane e colmo ancora di tutti i necessari sentimenti
unilaterali ed eccessivi della propria personalità, avrei anche avvertito il
bisogno di giustificare e di chiarire i motivi che spingono a certe
manifestazioni. O meglio, precisare cosa ci ha spinto verso un comportamento
che appare come eccessivo e villano. Ma se per noi il tempo non è passata
invano, e si è arrivati alla determinazione che la nostra vita è una vita
riuscita, si è ottenuto quindi un “successo”, la consapevolezza ci dona anche
una particolare posizione di “privilegio”, che ci consente di scorgere
lucidamente i disagi, i dolori e le frustrazioni altrui. Il più delle volte
questa capacità di essere partecipi, vicini, incontra la buona disposizione
d’animo di chi sente che un affetto può aiutare. Altre volte, tante volte,
l’immodestia e la mancanza di umiltà, porta a sovraccaricarsi di tutta quella
acredine verso gli altri che impedisce di distinguere il bene dal male. Il
credersi perfetti porta alla solitudine e all’emarginazione. Il credersi
perfetti porta inevitabilmente a considerare gli altri imperfetti, e dunque
responsabili del proprio dolore. È questa una tipica forma di “autodifesa
ignorante”, che porta a ignorare le proprie responsabilità. È una difesa, ma
una difesa sbagliata, che spinge a offendere, a calunniare di continuo chi
responsabilità non ha. Non importa. La posizione di “privilegio” contempla
anche la serenità di aver fatto tutto il possibile, ma è pur vero che non
tutti si possono salvare.
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