Come accade quasi quotidianamente, qualche giorno fa ho avuto necessità di
taluni indegni carri bestiame che in molti assurdamente continuano a chiamare
“servizio di trasposto pubblico urbano”, in compagnia dei soliti utenti:
clochard che li usano come trastullo/case viaggianti con l’intenzione di
rompere la monotonia dei giorni sempre uguali, che hanno la cadenza dei tre
pasti principali elargiti da laboriose e lucrose istituzioni, clandestini con
fardelli ingombranti di masserizie di dubbio gusto, individui di pelle nera, o
scura, o gialla con carrozzine e figli in abbondanza, qualche studente
narcotizzato alle prese con suo telefonino e qualche annoiato pensionato dalla
faccia arcigna quando, transitando lungo una famosissima strada commerciale
semicentrale, d’improvviso, oltre al finestrino assai sporco, ho intravisto le
vetrine di una nota Casa Editrice nazionale, industria della cultura che
monopolizza mercato e menti. La cosa in passato non ha avuto per me alcun
significato, è cosa abituale, mai fatto troppo caso a ciò che la suddetta
reclama nelle sue vetrine, tuttavia, questa volta la “cosa” mi aveva talmente
incuriosito da farmi decidere in fretta un’imprevista discesa dal mezzo, tale
era la curiosità. Così, dopo aver chiesto permesso a folle di “portoghesi” che
stazionano ingombrando davanti alla porta d’uscita per scendere di fretta
qualora salissero i controllori, sono sceso rapido, convinto che la mia ben
nota acrimonia verso le “Case Editrici” mi avessero fatto prendere le classiche
lucciole per lanterne. E invece non era la mia mente ad ingannarmi, lì davanti
a me, dopo aver fatto pochi passi, c’era veramente la bruttura. La nota Casa
qui ha un punto di spaccio con due grandi vetrine e una porta d’entrata sempre
piena di volumi accatastati con ordine. La seconda vetrina era tappezzata interamente
di una carta ruvida di colore bianco, al centro sempre di colore bianco, era
stilizzata una specie di colonna di tempio Greco, e nel centro della colonna,
più o meno all’altezza degli occhi di un individuo di media statura c’era
“l’orrore”, ossia l’ultimo libro di un tal famoso “scrittore”, o presunto tale.
Ora la cosa di per sé era già di cattivissimo gusto estetico, anche se la struttura
pubblicitaria neoclassica fosse stata usata per uno scrittore autentico,
apprezzabile, dignitoso ma usare un tale argomento per mettere in evidenza
l’opera di un autentico deficiente, un tipico prodotto mediatico e commerciale
al soldo della peggiore criminalità editoriale era davvero una provocazione
intollerabile. Se questo individuo avesse dimostrato nelle sue tante
apparizioni di possedere uno straccio di cervello atto a un pensiero logico e
razionale, già la cosa mi sarebbe apparsa di pessimo gusto, ma utilizzare un’intera
vetrina, con ipotesi di “templi dorici”, per pubblicizzare un prodotto commerciale
insulso, mi era apparsa come un gesto da rifiutare in malo modo, da teppista,
un desiderio d’infrangere la vetrina e gettare in strada quel volume colmo di
prevedibili scempiaggini. Tuttavia, la mia oramai manifesta vecchiezza, mi
suggeriva saggiamente di lasciar stare, di non irritarsi troppo per una
manifestazione volgare che conferma il giudizio di decadenza, miseria e
sporcizia che ha oramai sopraffatto il nostro modo di vivere. Le peggiori
schifezze umane, le più infime modificazioni genetiche hanno raggiunto quella
condizione di predominio e di potenza cui Nietzsche ha spesso fatto riferimento
nelle sue riflessioni, solo che Lui si augurava che le persone “migliori”
raggiungessero questi livelli, non le persone “peggiori”, dunque, esattamente l’opposto.
Nessun commento:
Posta un commento