Qualche giorno fa, senza volerlo,
mi è capitato di ascoltare una conversazione. Ero seduto su un autobus delle
linee urbane, non era affollato e il percorso da compiere era piuttosto lungo. C’era
un posto libero accanto a una signora né bella né brutta, normale, intorno ai
cinquant’anni probabilmente. Parlava al telefono tenendo la testa bassa, la
voce non era forte, rabbiosa, ma piuttosto adeguata alla situazione intorno,
solo che, per forza di cose, considerata la vicinanza, ho potuto ascoltare uno
“sfogo” che mi ha incuriosito; ho capito che stava parlando con la Madre della particolare situazione che stava vivendo: separata, due figli, il marito, a
suo dire, si stava comportando molto male, i ragazzi risentivano di questo
brutto clima e ne soffrivano, poi tutta una seria di emozioni e dispiaceri che
sono classiche di queste tragiche circostanze. Lì per lì non ho dato valore
all’evento, ricordo solo di aver pensato alcune cose in riferimento ai
sentimenti, nient’altro. La stessa sera però, fatalità, mi è capitato di vedere
un film già in passato più volte visto, ma che è sempre un piacere rivedere per
i particolari che si possono apprezzare alle successive visioni. Il film si
intitola “Qualcosa è cambiato”, uscito nel 1997, con la regia di James L.
Brooks, interpreti Jack Nicholson, Helen Hunt e Greg Kinnear, un film che
consiglio vivamente di vedere a chi ancora non ne ha avuta l’occasione.
Dunque, nell’approfondirlo per
l’ennesima volta mi sono rimaste in mente, ossia ho estrapolato dalle
conversazioni, due frasi che “Melvil”, il personaggio interpreto da Nicholson, rivolge
a “Carol” il personaggio interpretato dalla Hunt. La prima frase più o meno
diceva così: “Mi fai venire voglia di essere un uomo migliore.” La seconda
frase, più lunga e articolata, ma il senso tuttavia era questo: “Mi chiedo come
le altre persone non riescano a vedere che sei la donna più straordinaria che esista.”
Queste due considerazioni sono sintomo di uno stato d’animo classico, piuttosto
conosciuto, che è l’Amore fra un uomo e una donna. Il film, per me, contiene un
errore, queste frasi sono bagaglio dell’Amore, e i due protagonisti si
conoscono da poco, quindi fra loro può esserci “innamoramento” che ha
meccaniche e sintomi diversi. Tuttavia non è questo il punto, il punto è che il
regista evidentemente conosce l’Amore e sa quali sono le sue caratteristiche
dinamiche. Al termine del film, in un primo momento non so bene perché, mi era
venuta in mente l’esperienza del mattino, la signora che parlava male del
marito con sua Madre; non riuscivo a capire cosa potesse significare questo
parallelismo.
Cosa poteva entrarci l’uno con
l’altro?!
Il dubbio si è sciolto il mattino
seguente, dopo un’ulteriore riflessione e un’illuminazione: la signora
sull’autobus probabilmente non aveva mai amato suo marito, avrà creduto forse
di amarlo, poiché se questo sentimento fosse stato vero, avrebbe dovuto, per
forza di cose, essere nelle condizioni ricavate dalle due frasi di “Melvil”.
Spiego meglio. Se l’Amore comporta fra le altre cose la “voglia di essere
migliore” e la “sensazione che l’altra/altro è un essere unico e straordinario”
come mai quando il sentimento finisce queste sensazioni terminano, o non era
vero Amore, o l’altro era la persona sbagliata, quindi, lo stesso non poteva
essere l’Amore vero.
Questa evidente, palese
contraddizione non è avvertita affatto da chi crede di “amare” o “aver amato”
davvero, hanno la sensazione che è o fosse nel loro cuore, ma se è o fosse
stato autentico non sarebbe finito, se è finito non era. Da ciò ricavo che la
stragrande maggioranza delle persone in realtà dell’Amore ne sanno poco. Hanno
forse sfiorato, o intuito al massimo quello che potrebbe essere, ma se non lo
vivono allora per loro è una condizione del tutto sconosciuta, o da incontrare,
se sono fortunate. Quindi, quanto tanti dicono: “Ho smesso d’amarlo/amarla”, in
realtà hanno smesso di provare un’emozione diversa, certo piacevole, certo
coinvolgente, ma certo uno pseudo, o più spesso un proto. Altra cosa che non
riesco a capire come sia possibile che un Amore possa trasformarsi in rancore,
o più spesso in odio: è impossibile! Se la donna/uomo che incontro sulla mia
strada la ritengo “la più straordinaria che esista”, che mi coinvolge al punto
da generare in me un’autocritica, una consapevolezza, uno stravolgimento tale
da modellarmi in un Essere che ritengo “migliore”, com’è possibile che queste
dinamiche si avviino in presenza di una persona che poi odierò, c’è qualcosa
che non funziona. In realtà, come ho sempre detto, l’Amore vero è una “piccola
morte” in quanto chi ne soffre accantona il suo istinto di conservazione, e in
presenza di una possibilità di scelta, sceglie la sua di morte, piuttosto che
veder morire la persona amata. Mi sembra strano, dunque, che la povera signora
al telefono sull’autobus delle linee urbane, possa aver fatto questo tipo di
considerazione e conseguente scelta estrema quando era accanto al suo Compagno,
ora detestato; più facile che davanti a un tale dilemma avrebbe tentennato un
istante, così da cancellare, in un batter di ciglia, ciò che pensava che fosse.
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