Blog di MASSIMO PERINELLI, scrittore che proporre in lettura alcune sue opere letterarie; così come articoli di letteratura, politica, filosofia, testi che dovrebbero favorire un confronto sui diversi temi del vivere. Nulla di più che un estremo tentativo, nato da una residua fiducia nelle possibilità che hanno gli individui di comunicare. In fondo solo un "grido muto", segno di una dignitosa emarginazione.

Lo strano odore (Dalla raccolta "Frammenti d'infinito")



                                            Piena è la terra di superflui,
                                            rovinata è la vita dai troppi.
                                           Li si distolga da questa vita
                                               allettandoli alla “vita eterna”!
                                                                          F. Nietzsche


Se uno sconosciuto, incontrandolo lungo la via, avvertisse l’irrefrenabile curiosità di chiedere al signor Felice il motivo di tanta letizia, come reazione riceverebbe uno sguardo perplesso, lanciato da due occhi presunti furbetti, ma un po’ troppo vicini fra loro per esser tali, e una risposta che suonerebbe più o meno così:
“Sono felice perché ho tutto quello che si può desiderare dalla vita.”
E ha ragione il signor Felice, la vita è stata proprio generosa con lui, fino ad oggi.
Disgrazia vuole che per restare tale la condizione avrebbe bisogno di una continuità di cui lui, purtroppo, in futuro non godrà.
Una curiosa esperienza è lì che lo attende per guastargli la festa.

Il signor Felice è stato un bambino desiderato. I genitori hanno fatto tanti sacrifici, si sono privati del superfluo e anche parte del necessario per averlo. Le condizioni genetiche di entrambi non erano delle migliori. La mamma soffriva di una rara forma cronica d’infiammazione agli organi preposti alla riproduzione; il papà, invece, la natura matrigna l’aveva privato del numero di spermatozoi sufficienti ad un’efficace fecondazione. Così, proprio per porre rimedio a questi spiacevoli inconvenienti, non si è trovata altra possibile soluzione che far migrare molti sudati risparmi dalle loro tasche nelle tasche di avidi mercanti di vita in camice bianco, scapoli e senza figli. La mamma ha sofferto le pene dell’inferno durante tutti i nove mesi di gravidanza, e infine, neanche la soddisfazione d’aver dato alla luce il classico bel bambino. Gracile e malaticcio, per sostenerlo sono state necessarie assidue attenzioni, altre costosissime cure, settimane di straziante attesa; poi, finalmente, la lieta notizia: le terapie hanno avuto buon esito, il bambino ora è sano e può essere dimesso.
La meticolosa cautela cui è stato fatto soffocante oggetto da parte della famiglia, gli ha consentito di veleggiare cieco e tranquillo sul mare insidioso dell’esistenza. Suo padre, usciere presso un ministero, a ragion veduta, l’ha preparato ad un futuro lavoro simile al suo. Ha scelto la scuola adatta, le amicizie adatte, l’ambiente adatto, la via adatta, e tutto questo al solo scopo di plasmare in lui una forma psicologica adeguata a considerare l’impiego statale come la massima ambizione possibile per un uomo. Per assicurargli il posto non ha esitato a servirsi dei mezzi più bassi mai concepiti da consorzio civile: raccomandazioni, adulazioni, corruzioni, tessere di partito, senza il minimo scrupolo e senza la minima vergogna, convinto, come è sempre stato, che così andasse fatto. La mamma, religiosa praticante, con naturalezza l’ha introdotto ai dogmi della Fede, abituandolo a credere senza domandare, a ubbidire senza discutere, ad agire senza capire. Pertanto così è, il signor Felice crede e ubbidisce, concedendosi, in ogni modo, talvolta, qualche innocente trasgressione.
Oggi è il giorno del suo compleanno. Per acquistare una torta degna dell’importante ricorrenza si reca nella migliore pasticceria di zona, immancabile ritrovo domenicale di tutti i facoltosi, o presunti tali, conosciuti professionisti. Orgoglioso e fiero prolunga di un po’ il tragitto e vaga per le strade del quartiere nella speranza che un amico, oppure qualche conoscente, lo intraveda con la torta della famosa pasticceria in mano. Desiderio inappagato. Non incontra nessuno. Così, deluso per il mancato successo di pubblico, seccato per aver speso più del necessario, e per giunta senza l’adeguata soddisfazione, si avvia verso casa.
Al citofono annuncia: “Sono io Tesoro!”
Il suo Tesoro apre il portone e lui può salire.
Per risvegliare l’emozione evita di usare la chiave. Suona più volte il campanello, fino a quando, infastidita, la moglie non apre la porta. Sorpresi dalla sorpresa l’atmosfera familiare si riscalda. I figli resi folli di gioia alla vista del dolce avviano un frenetico girotondo intorno al padre sorridente. Prima di accomodarsi a tavola per il pranzo, il signor Felice si consuma in un infruttuoso giro di telefonate: l’intenzione sarebbe di trascorrere le ore pomeridiane in compagnia di qualche amico. Purtroppo, tutti avanzano scuse o indifferibili impegni, nessuno si rende disponibile per il brindisi.
“Pazienza, va bene anche così.” Mormora con un po’ di tristezza il signor Felice.
A pranzo concluso, ecco arrivare il momento della torta. I bambini applaudono e gridano: “Auguri Papà, auguri!”.
Lui, raggiante, estrae da una bustina due candeline e le sistema al centro del dolce. Le candeline colorate si avvolgono tortuose a formare un 40, gli anni da festeggiare. Estrae dalla tasca dei pantaloni l’accendino ricoperto d’argento, regalo del precedente compleanno, e avvicina la fiamma ai minuscoli stoppini… che non bruciano.
Riprova con maggior impegno… niente.
Le candeline proprio non vogliono saperne di accendersi. Il tentativo della moglie, consistente nell’avvicinare alla fiamma del gas le due ostinate, ha il solo fastidioso risultato di far colare un po’ di cera sull’immacolato piano inox della cucina. I contrattempi, di per sé insignificanti, riescono a turbare l’umore della famigliola. Alcuni scheletrici «Perché?» iniziano a vagabondare nella mente del signor Felice. Purtroppo, o per fortuna, lui, che non ha molta dimestichezza con analisi e tesi, desiste presto dal proposito di capire.
Con espressione smarrita accenna ad un sorriso.
“Non fa niente, faremo come se fossero accese.” E tira un gran soffio sulle malinconiche candele spente.
Consumato l'imperfetto rito, mentre la moglie bada a tagliare la torta e i ragazzi attendono trepidanti, lui inizia ad annusare l’aria come un segugio. Fiuta a destra, fiuta a sinistra, si gira più volte di qua e di là, sotto lo sguardo stupito dei suoi.
“Ma, voi non sentite quest’odore… quest’odore terribile! Oh, ma è insopportabile… sei sicura Tesoro che non ci sia qualcosa…”
“Io non sento nulla. Voi sentite qualcosa ragazzi?” Replica la moglie perplessa.
“Come fate a non sentirlo. È come di… come di… carne marcia, proprio carne marcia.” Si alza per seguire come un cane da tartufi la fetida traccia “Forse c’è qualcosa di marcio nel frigo…” apre il frigorifero “No, qui non c’è niente.”
“Guarda che sei solo tu ad avvertirlo. Forse saranno le candeline, sai la cera.”
Cerca di convincerlo la moglie, mentre i bambini annuiscono alle parole della mamma stringendosi nelle spalle. Il resto della serata trascorre con il signor Felice che, non convinto, apre sportelli e sposta mobili alla ricerca dello sconsiderato animale andato a morire in qualche recondito angolo della sua casa. A tarda sera, stremato, desiste dall’impresa e si corica senza aver trovato nulla e senza che lo strano odore sia svanito.
Trascorre la notte nel tormento e si alza presto al mattino. Ha dormito poco e ha gli occhi marcati da ombre nere. Si lava con cura, eccede in profumo, sempre con l’insopportabile fetore fisso nel naso. Dopo aver mentito alla moglie riguardo alle sue condizioni fisiche si avvia al lavoro. Convinto che il problema fosse d’origine casalinga, resta sconcertato nel rilevare, invece, che la puzza persiste anche all’aperto. Guarda in giro per controllare se altri manifestano lo stesso disagio. Ma intorno, come ogni giorno, è tutto normale, nessuno sembra comportarsi in modo diverso dal solito. D’improvviso, come folgorato, il signor Felice arrossire di vergogna a un terribile sospetto: «Che sia io ad emanare il nauseante olezzo?!» Sconvolto dal dubbio si rifugia in un portone per annusare in segreto i vestiti, le ascelle, per controllare le suole delle scarpe e la borsa: niente di niente. L’odore non aumenta né diminuisce, mantenendosi forte e stabile. Sempre preda di frequenti crisi emetiche, ma un po’ rincuorato nell’osservare l’assenza d’effetti sul prossimo, giunge in ufficio.
 “Buongiorno signor Direttore! Come va signor Direttore? Sono a sua totale disposizione signor Direttore. Disponga di me in qualsiasi momento signor Direttore.”
L’anziano dirigente lo saluta con una smorfia di disgusto sul viso, smorfia che lui interpreta come risultato dell’avvertito miasma.
“Ha storto il naso, sente l’odore, lui lo sente. Oh santo cielo, allora sono io che puzzo.” Mormora inorridito fra sé e sé.
In preda al panico corre da un amico. Lavorano insieme da tanti anni, lui gli dirà la verità. L’amico però non conferma, non sente nessuno strano odore, teme invece che si sia cosparso di un eccessivo quantitativo di profumo da pochi soldi.
”Forse è questo che ha disgustato il Direttore.” Dichiara il collega.
Dunque, il signor Felice non ha risolto il problema e ora è davvero colmo d’angoscia. Non sa cosa fare, non sa cosa pensare, non riesce ad andare oltre la constatazione: questo, in ogni caso, non gli impedirà di svolgere il suo lavoro con alacre solerzia. Il ruolo di usciere presso una sezione del ministero delegata alle pensioni, lo pone a quotidiano contatto con una delle più diffuse e immorali miserie della società. Sua preda preferita è l’anziano senza difesa, dall’aspetto dimesso e dallo sguardo smarrito. Cultura paterna ed esperienza personale hanno dato origine a un’efficace strategia d’attacco, messa in atto mediante semplice scelta del soggetto, frasi sibilline, indicazioni di possibili alternative alla mota burocratica, tutto ciò con l’obiettivo di sottratte banconote al già magro reddito altrui.
La giornata di lavoro termina con l’odore che non ha smesso un istante di perseguitarlo. Accanto a lui, alcune persone hanno storto il naso, altre no, non sono state quindi un’indicazione attendibile. Non ha scoperto nulla, non può andare avanti così, oggi stesso si recherà dal dottore.

Mentre il medico, dopo averlo visitato con cura, senza aver riscontrato anomalie nello stato fisico generale, gli espone con tono professionale le possibili cause del fastidio, il telefonino del signor Felice trilla.
“No niente cara, il dottore non ha trovato nulla di strano, forse un’infiammazione alle mucose del naso, ha detto che presto passerà … Sì, ciao cara, ciao… mi scusi, cosa diceva dottore?”
Il dottore, con un sorriso gelido, senza pronunciare parola lo congeda porgendogli una ricetta.
Col trascorrere dei giorni il disturbo non ha fine. In palestra si sottopone a lunghe sedute in sauna; ne esce grondante e ansimante, ma senza apprezzabili risultati.
Il cattivo odore resta.
Dopo una settimana di logorio crescente, ecco di nuovo la domenica. Si alza dal letto in condizioni catatoniche penose. Eppure si prepara come sempre per la messa, e con indosso i vestiti della festa esce da casa insieme alla famiglia. Percorrono in silenzio il breve tratto di strada che li separa dalla parrocchia. Rigido e assente si comporta come un automa. La solenne funzione religiosa termina con la confessione e la comunione. Sulle scale della chiesa si prodiga nella consueta carità al disgraziato di turno, poi l’appuntamento con l’edicola per acquistare il quotidiano sportivo, infine si avviano verso casa. Davanti al portone d’ingresso comunica alla moglie che tornerà dopo l’abituale passeggiata: senza sospetti o preoccupazioni lei sorride. Calcolato il tempo necessario ai suoi per entrare in casa, il signor Felice dopo un po’ in solitudine apre il portone, controlla che l’ambiente sia deserto, quindi senza fretta inizia a salire su per le scale, gradino dopo gradino. All’ultimo piano apre la porta cigolante dell’assolato terrazzo condominiale. Appena pochi passi. Si ferma a lungo ad osservare il panorama. Sistema con le mani i pochi capelli rimasti sulla testa. L’alito di vento non apporta sollievo, anzi, sembra accrescere l’odoraccio che lo tormenta. Con un piccolo sforzo sale sul marmo bianco del muretto. Fissa la strada giù in fondo, le macchine lontane lontane e le persone piccole piccole, poi un passo ancora e senza un grido precipita nel vuoto scomposto come un manichino, fino al tonfo finale.
La felice esistenza del signor Felice è finita.
Con indosso il vestito della festa e un rivolo di sangue che gli esce dalla bocca, ora giace riverso sull’asfalto del marciapiede, davanti all’ingresso del bar gremito.
Dopo un sorso di caffè un cliente accenna ad annusare l’aria.
“Ma, voi non sentite quest’odore… quest’odore terribile. Forse qualcuno ha gettato nel cassonetto delle immondizie un animale morto … incivili, c’è un apposito servizio comunale per questo.”                          


11 Giugno 1999

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