Piena è la terra di superflui,
rovinata è la vita dai troppi.
Li si distolga da questa vita
allettandoli
alla “vita eterna”!
F. Nietzsche
Se uno sconosciuto,
incontrandolo lungo la via, avvertisse l’irrefrenabile curiosità di chiedere al
signor Felice il motivo di tanta letizia, come reazione riceverebbe uno sguardo
perplesso, lanciato da due occhi presunti furbetti, ma un po’ troppo vicini fra
loro per esser tali, e una risposta che suonerebbe più o meno così:
“Sono felice perché ho tutto quello che si può
desiderare dalla vita.”
E ha ragione
il signor Felice, la vita è stata proprio generosa con lui, fino ad oggi.
Disgrazia
vuole che per restare tale la condizione avrebbe bisogno di una continuità di
cui lui, purtroppo, in futuro non godrà.
Una curiosa
esperienza è lì che lo attende per guastargli la festa.
Il signor
Felice è stato un bambino desiderato. I genitori hanno fatto tanti sacrifici,
si sono privati del superfluo e anche parte del necessario per averlo. Le
condizioni genetiche di entrambi non erano delle migliori. La mamma soffriva di
una rara forma cronica d’infiammazione agli organi preposti alla riproduzione;
il papà, invece, la natura matrigna l’aveva privato del numero di spermatozoi
sufficienti ad un’efficace fecondazione. Così, proprio per porre rimedio a
questi spiacevoli inconvenienti, non si è trovata altra possibile soluzione che
far migrare molti sudati risparmi dalle loro tasche nelle tasche di avidi
mercanti di vita in camice bianco, scapoli e senza figli. La mamma ha sofferto
le pene dell’inferno durante tutti i nove mesi di gravidanza, e infine, neanche
la soddisfazione d’aver dato alla luce il classico bel bambino. Gracile e malaticcio, per sostenerlo sono state
necessarie assidue attenzioni, altre costosissime cure, settimane di straziante
attesa; poi, finalmente, la lieta notizia: le terapie hanno avuto buon esito,
il bambino ora è sano e può essere dimesso.
La meticolosa
cautela cui è stato fatto soffocante oggetto da parte della famiglia, gli ha
consentito di veleggiare cieco e tranquillo sul mare insidioso dell’esistenza.
Suo padre, usciere presso un ministero, a ragion veduta, l’ha preparato ad un
futuro lavoro simile al suo. Ha scelto la scuola adatta, le amicizie adatte,
l’ambiente adatto, la via adatta, e tutto questo al solo scopo di plasmare in
lui una forma psicologica adeguata a considerare l’impiego statale come la
massima ambizione possibile per un uomo. Per assicurargli il posto non ha
esitato a servirsi dei mezzi più bassi mai concepiti da consorzio civile:
raccomandazioni, adulazioni, corruzioni, tessere di partito, senza il minimo
scrupolo e senza la minima vergogna, convinto, come è sempre stato, che così
andasse fatto. La mamma, religiosa praticante, con naturalezza l’ha introdotto
ai dogmi della Fede, abituandolo a credere senza domandare, a ubbidire
senza discutere, ad agire senza capire. Pertanto così è, il signor Felice crede
e ubbidisce, concedendosi, in ogni modo, talvolta, qualche innocente
trasgressione.
Oggi è il
giorno del suo compleanno. Per acquistare una torta degna dell’importante
ricorrenza si reca nella migliore pasticceria di zona, immancabile ritrovo
domenicale di tutti i facoltosi, o presunti tali, conosciuti professionisti.
Orgoglioso e fiero prolunga di un po’ il tragitto e vaga per le strade del
quartiere nella speranza che un amico, oppure qualche conoscente, lo intraveda
con la torta della famosa pasticceria in mano. Desiderio inappagato. Non
incontra nessuno. Così, deluso per il mancato successo di pubblico, seccato per aver speso più del necessario, e
per giunta senza l’adeguata soddisfazione, si avvia verso casa.
Al citofono
annuncia: “Sono io Tesoro!”
Il suo
Tesoro apre il portone e lui può salire.
Per risvegliare
l’emozione evita di usare la chiave. Suona più volte il campanello, fino a
quando, infastidita, la moglie non apre la porta. Sorpresi dalla sorpresa
l’atmosfera familiare si riscalda. I figli resi folli di gioia alla vista del
dolce avviano un frenetico girotondo intorno al padre sorridente. Prima di
accomodarsi a tavola per il pranzo, il signor Felice si consuma in un
infruttuoso giro di telefonate: l’intenzione sarebbe di trascorrere le ore
pomeridiane in compagnia di qualche amico. Purtroppo, tutti avanzano scuse o
indifferibili impegni, nessuno si rende disponibile per il brindisi.
“Pazienza, va bene anche così.” Mormora con un po’
di tristezza il signor Felice.
A pranzo
concluso, ecco arrivare il momento della torta. I bambini applaudono e gridano:
“Auguri Papà, auguri!”.
Lui,
raggiante, estrae da una bustina due candeline e le sistema al centro del
dolce. Le candeline colorate si avvolgono tortuose a formare un 40, gli
anni da festeggiare. Estrae dalla tasca dei pantaloni l’accendino ricoperto
d’argento, regalo del precedente compleanno, e avvicina la fiamma ai minuscoli
stoppini… che non bruciano.
Riprova con
maggior impegno… niente.
Le candeline
proprio non vogliono saperne di accendersi. Il tentativo della moglie,
consistente nell’avvicinare alla fiamma del gas le due ostinate, ha il solo
fastidioso risultato di far colare un po’ di cera sull’immacolato piano inox
della cucina. I contrattempi, di per sé insignificanti, riescono a turbare
l’umore della famigliola. Alcuni scheletrici «Perché?» iniziano a
vagabondare nella mente del signor Felice. Purtroppo, o per fortuna, lui, che
non ha molta dimestichezza con analisi e tesi, desiste presto dal proposito di
capire.
Con
espressione smarrita accenna ad un sorriso.
“Non fa
niente, faremo come se fossero accese.” E tira un gran soffio sulle
malinconiche candele spente.
Consumato
l'imperfetto rito, mentre la moglie bada a tagliare la torta e i ragazzi
attendono trepidanti, lui inizia ad annusare l’aria come un segugio. Fiuta a
destra, fiuta a sinistra, si gira più volte di qua e di là, sotto lo sguardo
stupito dei suoi.
“Ma, voi non sentite quest’odore… quest’odore
terribile! Oh, ma è insopportabile… sei sicura Tesoro che non ci sia qualcosa…”
“Io non sento nulla. Voi sentite qualcosa ragazzi?” Replica
la moglie perplessa.
“Come fate a non sentirlo. È come di… come di… carne
marcia, proprio carne marcia.” Si alza per seguire come un cane da tartufi la
fetida traccia “Forse c’è qualcosa di marcio nel frigo…” apre il frigorifero
“No, qui non c’è niente.”
“Guarda che sei solo tu ad avvertirlo. Forse saranno
le candeline, sai la cera.”
Cerca di convincerlo la moglie, mentre i bambini
annuiscono alle parole della mamma stringendosi nelle spalle. Il resto della
serata trascorre con il signor Felice che, non convinto, apre sportelli e
sposta mobili alla ricerca dello sconsiderato animale andato a morire in
qualche recondito angolo della sua casa. A tarda sera, stremato, desiste
dall’impresa e si corica senza aver trovato nulla e senza che lo strano odore
sia svanito.
Trascorre la notte nel tormento e si alza presto al
mattino. Ha dormito poco e ha gli occhi marcati da ombre nere. Si lava con
cura, eccede in profumo, sempre con l’insopportabile fetore fisso nel naso.
Dopo aver mentito alla moglie riguardo alle sue condizioni fisiche si avvia al
lavoro. Convinto che il problema fosse d’origine casalinga, resta sconcertato
nel rilevare, invece, che la puzza persiste anche all’aperto. Guarda in giro
per controllare se altri manifestano lo stesso disagio. Ma intorno, come ogni
giorno, è tutto normale, nessuno sembra comportarsi in modo diverso dal solito.
D’improvviso, come folgorato, il signor Felice arrossire di vergogna a un
terribile sospetto: «Che sia io ad
emanare il nauseante olezzo?!»
Sconvolto dal dubbio si rifugia in un portone per annusare in segreto i
vestiti, le ascelle, per controllare le suole delle scarpe e la borsa: niente
di niente. L’odore non aumenta né diminuisce, mantenendosi forte e stabile.
Sempre preda di frequenti crisi emetiche, ma un po’ rincuorato nell’osservare
l’assenza d’effetti sul prossimo, giunge in ufficio.
“Buongiorno
signor Direttore! Come va signor Direttore? Sono a sua totale disposizione
signor Direttore. Disponga di me in qualsiasi momento signor Direttore.”
L’anziano dirigente
lo saluta con una smorfia di disgusto sul viso, smorfia che lui interpreta come
risultato dell’avvertito miasma.
“Ha storto il
naso, sente l’odore, lui lo sente. Oh santo cielo, allora sono io che puzzo.”
Mormora inorridito fra sé e sé.
In preda al
panico corre da un amico. Lavorano insieme da tanti anni, lui gli dirà la
verità. L’amico però non conferma, non sente nessuno strano odore, teme invece
che si sia cosparso di un eccessivo quantitativo di profumo da pochi soldi.
”Forse è
questo che ha disgustato il Direttore.” Dichiara il collega.
Dunque, il
signor Felice non ha risolto il problema e ora è davvero colmo d’angoscia. Non
sa cosa fare, non sa cosa pensare, non riesce ad andare oltre la constatazione:
questo, in ogni caso, non gli impedirà di svolgere il suo lavoro con alacre
solerzia. Il ruolo di usciere presso una sezione del ministero delegata alle
pensioni, lo pone a quotidiano contatto con una delle più diffuse e immorali
miserie della società. Sua preda preferita è l’anziano senza difesa,
dall’aspetto dimesso e dallo sguardo smarrito. Cultura paterna ed esperienza
personale hanno dato origine a un’efficace strategia d’attacco, messa in atto
mediante semplice scelta del soggetto, frasi sibilline, indicazioni di
possibili alternative alla mota burocratica, tutto ciò con l’obiettivo di
sottratte banconote al già magro reddito altrui.
La giornata
di lavoro termina con l’odore che non ha smesso un istante di perseguitarlo.
Accanto a lui, alcune persone hanno storto il naso, altre no, non sono state
quindi un’indicazione attendibile. Non ha scoperto nulla, non può andare avanti
così, oggi stesso si recherà dal dottore.
Mentre il
medico, dopo averlo visitato con cura, senza aver riscontrato anomalie nello
stato fisico generale, gli espone con tono professionale le possibili cause del
fastidio, il telefonino del signor Felice trilla.
“No niente
cara, il dottore non ha trovato nulla di strano, forse un’infiammazione alle
mucose del naso, ha detto che presto passerà … Sì, ciao cara, ciao… mi scusi, cosa
diceva dottore?”
Il dottore,
con un sorriso gelido, senza pronunciare parola lo congeda porgendogli una
ricetta.
Col
trascorrere dei giorni il disturbo non ha fine. In palestra si sottopone a
lunghe sedute in sauna; ne esce grondante e ansimante, ma senza apprezzabili
risultati.
Il cattivo
odore resta.
Dopo una
settimana di logorio crescente, ecco di nuovo la domenica. Si alza dal letto in
condizioni catatoniche penose. Eppure si prepara come sempre per la messa, e
con indosso i vestiti della festa esce da casa insieme alla famiglia.
Percorrono in silenzio il breve tratto di strada che li separa dalla
parrocchia. Rigido e assente si comporta come un automa. La solenne funzione
religiosa termina con la confessione e la comunione. Sulle scale della chiesa
si prodiga nella consueta carità al disgraziato di turno, poi l’appuntamento
con l’edicola per acquistare il quotidiano sportivo, infine si avviano verso
casa. Davanti al portone d’ingresso comunica alla moglie che tornerà dopo
l’abituale passeggiata: senza sospetti o preoccupazioni lei sorride. Calcolato
il tempo necessario ai suoi per entrare in casa, il signor Felice dopo un po’
in solitudine apre il portone, controlla che l’ambiente sia deserto, quindi
senza fretta inizia a salire su per le scale, gradino dopo gradino. All’ultimo
piano apre la porta cigolante dell’assolato terrazzo condominiale. Appena pochi
passi. Si ferma a lungo ad osservare il panorama. Sistema con le mani i pochi
capelli rimasti sulla testa. L’alito di vento non apporta sollievo, anzi,
sembra accrescere l’odoraccio che lo tormenta. Con un piccolo sforzo sale sul
marmo bianco del muretto. Fissa la strada giù in fondo, le macchine lontane
lontane e le persone piccole piccole, poi un passo ancora e senza un grido
precipita nel vuoto scomposto come un manichino, fino al tonfo finale.
La felice esistenza del signor Felice è
finita.
Con indosso
il vestito della festa e un rivolo di sangue che gli esce dalla bocca, ora
giace riverso sull’asfalto del marciapiede, davanti all’ingresso del bar
gremito.
Dopo un sorso di caffè un cliente accenna ad
annusare l’aria.
“Ma, voi non
sentite quest’odore… quest’odore terribile. Forse qualcuno ha gettato nel
cassonetto delle immondizie un animale morto … incivili, c’è un apposito
servizio comunale per questo.”
11 Giugno 1999
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